― pubblicità ―

Dall'archivio:

La storia e la memoria sulla morte di Benito Mussolini

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

VILLA GUARDIA (Como). Villa Guardia è un comune in provincia di Como che comprende le antiche comunità di Maccio e Civello. Due realtà ancora identificabili nonostante sia trascorso quasi un secolo dall’unione (1928). Recentemente Francesca Molinari , un’appassionata della storia locale del territorio, ha pubblicato un libretto dal titolo: “Villa Guardia – la storia e la memoria”. Ha ripercorso la vita passata attraverso i ricordi degli anziani e, in particolare, è andata a fondo sulla vicenda che ha riguardato la morte di Benito ucciso, sembrerebbe, da un partigiano di Maccio.
Sulla vicenda sono stati scritti una montagna di libri, tra cui ‘Ben’ del nostro amico Angelo Paratico. La versione ufficiale data dai ‘compagni’ dice che Benito e Claretta furono uccisi dal comandante partigiano Walter Audisio (nome di battaglia, colonnello Valerio) il 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, davanti al cancello di Villa Belmonte.
A QUESTA VERSIONE NESSUNO CI CREDE PIU’
Leggiamo, invece, cosa ha scritto Francesca Molinari nel libro citato (p.112), che trova corrispondenza con quanto scrisse Giorgio Pisanò, qualche decennio fa, in uno dei suoi libri:
“Un nipote di Mussolini, qualche anno fa, ha presentato un’istanza alla procura di Como per chiedere come fosse realmente morto il Duce. Il Sostituto Procuratore Maria Vittoria Isella ha chiuso l’inchiesta con un’affermazione definitiva:
‘L’uccisione di Benito Mussolini e Claretta Petacci non è avvenuta, come vuole la versione ufficiale, davanti al cancello di villa Belmonte, bensì dove avevamo passato l’ultima notte, nell’abitazione dei contadini De Maria, uccisi dai due partigiani incaricati della custodia e pertanto è da ritenersi un pluriomicidio colposo, non perseguibile perché i protagonisti della vicenda sono morti”.
Pare, ma sono solo supposizioni, che uno di questi partigiani abbia tentato di violentare la Petacci. Alla reazione di Mussolini gli ha sparato. La Petacci ha cercato di difenderlo ed è stata uccisa perché sarebbe stata una testimone scomoda. Il Procuratore Isella ha visto che, dalle autopsie, i medici legali hanno rilevato che i fori dei proiettili nel corpo non corrispondevano a quelli della giubba che indossava il Duce. I colpi sparati davanti alla villa erano meno di quelli che Mussolini aveva in corpo.
Uno dei due partigiani incaricati della custodia era di Maccio e si chiamava Giuseppe Frangi, detto Lino. Bisogna precisare che non si sa come siano andate effettivamente le cose; tuttavia, da quanto è stato raccontato dagli intervistati, sembra che Giuseppe Frangi, a cui Severino Gaffuri – primo sindaco dopo la guerra, in accordo con il Comitato di Liberazione – ha intestato una via nella frazione di Maccio, sia stato un valoroso partigiano caduto nell’adempimento del suo dovere. Si dice anche che fosse una persona che in determinate circostanze poteva dimostrarsi un po’ violenta e pare anche che alcuni abitanti di Villa Guardia l’abbiano sentito affermare che aveva ucciso Mussolini.
‘ In Valtellina, al campo sportivo di Sondrio – raccontano le testimonianze dirette degli intervistati, qui riportate fedelmente – avevano concentrato i fascisti e i militari della Repubblica Sociale e sembra che Frangi ne abbia ammazzati una decina. Quando è tornato, è andato a Civello a cercare lo zio Pierino Robustelli perché, prima della guerra, in sua presenza aveva litigato con un fascista di Fino Mornasco e quindi voleva che il Robustelli lo accompagnasse a cercarlo per ucciderlo. Lo zio Pierino ha avuto la presenza di spirito di dirgli che ci aveva già pensato lui a fare giustizia e il Frangi gli ha creduto e ha rinunciato all’impresa. A Maccio è poi andato a cercare il Gini padre, il Pericle Botta, il Sassella, lo Scacchi e altri perché doveva ammazzarli. Hanno dovuto avvisarli di scappare. Fortunatamente non ne ha trovato neanche uno. Poi il giorno dopo è andato a Dongo e la sera è arrivata la notizia che era morto perché gli era inavvertitamente partito un colpo con il mitra. Invece sembra che l’abbiano fatto fuori i suoi perché aveva ammazzato troppa gente per niente’.
“Io e le mie amiche Marisa ed Eleonora – racconta Lina Fustoia – eravamo le uniche ad avere la bicicletta. Un giorno stavamo andando a Como quando alla ‘Gelada’ si è fermata una macchina. A bordo c’era il Frangi che ha gridato: “Ragazze, ho ucciso il Duce!”
“Giuseppe Frangi – ricorda Peppo Turconi – è arrivato a Villa Guardia in macchina accompagnato da un amico che era alal guida. Si è fermato davanti al vecchio municipio e ha detto: “L’ho uccio io il crapùn. Eravamo lì io e mio zio Riccardo che gli ha detto: “Bela roba che t’èe faa! Dovevate tenerlo vivo!”

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi