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La Settima Arte: “Rusty il selvaggio”, a proposito di pesci combattenti e giovani

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

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“Rusty il selvaggio” (titolo originale “Rumblefish”) è un film del 1983 di Francis Ford Coppola che, attraverso la metafora dei pesci combattenti, ci parla di bande giovanili e del rapporto fra giovani e adulti. Cosa sono i pesci combattenti? Sono pesci che, tenuti in un acquario, si combattono tra di loro fino ad uccidersi ma lasciati in mare aperto convivono pacificamente.

Come i pesci combattenti anche i giovani, nell’acquario dell’eterno presente, si riuniscono in bande che si combattono ferocemente fino a farsi fisicamente male. Il mare aperto del futuro però non c’è e allora non rimangono che la rabbia, la disillusione e la frustrazione. Ma perché tutto questo accade? Perché, ci dice Coppola, i padri non hanno trasferito ai figli la speranza ma hanno loro regalato solamente la delusione e il pessimismo. Sono passati trentacinque anni dall’uscita di quel film ma niente sembra cambiato: i giovani vivono sempre di solo presente mentre gli adulti continuano a non dare speranza di futuro.

A guardare con occhio più attento però, vediamo che qualcosa è cambiato: gli adulti sempre più guardano ai giovani come modello e, oltre che a non dare speranza di futuro, esaltano il presente come fosse eterno dando valore unicamente a ciò che già c’è e, al contrario, svalutando incoscientemente ciò che ancora è da costruire, futuro compreso.

Oggi, se vogliamo capire e aiutare i giovani, dobbiamo prendere atto che il problema del malessere e del disorientamento riguarda soprattutto noi adulti che, marginalizzati o comunque ridimensionati da un mondo che cambia a velocità impressionante, non sappiamo più qual è il nostro ruolo. Prendiamo la tecnologia, ad esempio: molti pensano che per dialogare coi giovani gli adulti debbano diventare a loro volta “tecnologici”; al contrario io penso che il compito degli adulti sia quello di sapere problematizzare l’uso della tecnologia, che i giovani useranno sempre infinitamente meglio di loro.

In questa prospettiva, problematizzare l’uso della tecnologia vuole anche dire chiedersi che ruolo debba avere nella nostra visione del mondo e cosa di negativo produca accanto alle molte e straordinarie opportunità che offre: in questo spazio di riflessione e di dialogo gli adulti potrebbero tornare a svolgere il loro ruolo fondamentale di figure guida, pronte ad ascoltare e capire i giovani ma anche a proporsi come autentici interlocutori, anche affettivi, nel difficile compito di costruire un mondo migliore per tutti.

Un’ultima riflessione: siamo nell’epoca del consumismo e consumare vuol dire distruggere, anche per necessità, vuol dire quindi togliere qualcosa che già c’è; costruire vuol dire invece aggiungere qualcosa, sperabilmente buona, che ancora non c’è, futuro compreso. Anche questo dovremmo evidenziare ai nostri giovani. Per chiudere, vorrei tornare brevemente al film di Coppola per sottolineare gli straordinari contributi alla sua riuscita di Stewart Copeland alla musica e di Dean Tavoularis alla scenografia.

 

Marco Invernizzi

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