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La rottamazione dell’eccellenza sanitaria in Lombardia – di Sabrina Carrozza

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Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Ieri abbiamo letto con attenzione quanto pubblicato dall’amica e collega Sabrina Carrozza sul suo blog ( https://sabbrividiamo.blogspot.com/ ). Ve lo riproponiamo così integralmente, con una nostra ‘chiosa’. Buona lettura.

 

Fiore all’occhiello. Elezione. Dimissione protetta. Terapia. Follow up.
Chi lavora in un ospedale parte sempre da qui: da quello che ha fatto scegliere questo mestiere. Subito, o ad un certo punto della vita, stravolgendola totalmente. Per aderire a una missione, è vero, che però comprende, tra gli obiettivi di cura, anche l’eccellenza. 

In Lombardia questa eccellenza non interessa a nessuno, tra coloro che hanno trasformato il suo Sistema Sanitario da Unità Socio-Sanitaria Locale ad Azienda Territoriale Sanitaria. E ATS ha applicato la logica aziendale. Quella che mette ai vertici la propria nomenclatura e taglia tutti i costi possibili.

Partiamo da qui. Per comprendere cosa è successo in questo 2020 è importante capire dal punto di partenza. Dal contesto. Dal panorama costruito da 1997, quando il “Socio” viene eliminato dalla narrazione. Quando sono iniziati gli accorpamenti, quando le convenzioni coi privati sono fiorite, quando i tempi in ospedale si sono ridotti. Quando, insomma, il Servizio Sanitario era organizzato in modo che dirigenti, superiori, piani alti, avessero degli obiettivi di bilancio da perseguire. I bonus, in azienda, si ottengono con i dati di profitto, di percentuali conquistate, di margine. E il margine è il taglio dei costi. I costi del personale sono una voce preponderante che mal si accorda alla logica del profitto. Se ho un numero ristretto di infermieri, medici, tecnici di radiologia, sono un bravo dirigente per la mia azienda, bravissimo se organizzo lo staff in modo che facciano tutto. Pazienza per l’eccellenza, la tecnologia ci viene in aiuto, no? Basta mantenere un protocollo, uno standard; una check list da spuntare. E se saltano i riposi del personale? Se malattie, ferie e permessi creano qualche buco è semplice: saltano i riposi. Il buco è tappato dai presenti, senza le assunzioni che garantirebbero a tutti lo stesso trattamento. Eccolo, il panorama. Piatto, Padano. Livella veloce. Rullo senza merito. È in questo scenario che arriva la pandemia.

Cosa accade a Marzo?

C’è un picco enorme, inaspettato, nelle terapie intensive. I posti sono contati, perché a Regione Lombardia sono posti che costano molto. Con quel picco i posti si sono comunque quadruplicati.

Quella di Humanitas, ad esempio, è passata da 13 posti letto a 54. Sembra anche poco, in realtà. Poco, finché non si capisce cosa significa aggiungere 41 posti letto in un reparto del genere. Quanto spazio, quanti materassi. Quanti ventilatori. Quanti monitor, quante bombole, quante pompe a infusione. Quanti rianimatori, per quarantuno. Quanti infermieri, per quarantuno, che facciano un mattino, un pomeriggio, una notte, uno smonto e un riposo; quanti a turno tutti insieme. In più.

 

Oh bella: Regione Lombardia si sveglia dal dolce torpore ultraventennale e si accorge di non avere le risorse umane per coprire questo surplus di richieste. Ma siamo diventati un po’ tutti Wolf, e da bravi project manager ossessionati dal margine siamo del problem solver, con quel linguaggio finto internazionale tanto caro ai vertici di comando. I collaboratori, per prima cosa. Coloro che saranno pagati a prestazione, grazie alla loro P.IVA che spesso li ha fatti scappare da quei turni massacranti in cui a volte si saltavano i riposi. Neolaureati, neodiplomati, ultimi anni. Qualche assunzione, forse. Ma la soluzione più rapida è stata la conversione.

Ospedale Fornaroli

Prendiamo la lente di ingrandimento e facciamo degli esempi concreti. L’Ospedale di Magenta vantava eccellenze nella Chirurgia della Plastica, la Chirurgia della Mano, l‘Urologia. L’Ospedale di Abbiategrasso ha rinnovato piani interi. Accorpati a Legnano, il secondo ha il Pronto Soccorso solo diurno, e piani nuovissimi deserti; il primo è solo succursale. Convertire tutti quello che era elezione (l’intervento programmato, l’intervento di medicina) è stato rimandato; il personale là impiegato, spostato sulle terapie intensive. Da qui la sospensione di interventi, visite, accessi, sale operatorie. Quest’ultime portano spesso bei soldi nelle nuove Aziende Territoriali, ma Marzo ha imposto lo spostamento da una casella all’altra di tutto il personale. L’area Covid ha ulteriormente contribuito a livellare le competenze degli addetti ai lavori con gli stessi soldi e un ritmo ancora più serrato. E i post operatori? E le terapie? Si studia ora la ripercussione che questo avrà sul SSN a lungo tendere sulle persone, in primis sulla prevenzione di tumore, sui follow up. Pazienza se, nonostante questa enorme operazione diversiva, nonostante Mr.Wolf qualche paziente è finito Palermo, o in Germania perché non ci sono posti letto. In solitudine.

E poi la situazione è lentamente migliorata. Da qualche parte si sono salutati i medici cubani, ovunque le visite specialistiche sono riprese con orari estesi al massimo, anche di sabato e di domenica, chiedendo al personale, di fatto, di non tirare mai il fiato. Là, ai piani alti, grandi strette di mano: tutto sommato è andata. Fino a Novembre. Dove la manovra diversiva ha investito anche la consueta spesa vaccinale.


M., infermiere a Legnano, parla di tsunami. La criticità è partita dal Pronto Soccorso, per poi estendersi piano piano all’area internistica che si riempie di malati. Non si sa più dove mettere i malati Covid, e si ricomincia con la chiusura dei reparti, come quello di Otorino. È stata aperta un’area vicino alla Rianimazione dove i malati non hanno i bagni, non possono essere lavati. Nei reparti i colleghi piangono, sono positivi, si contagiano facendo anche interventi di routine. La scoperta della positività avviene soprattutto quando sale la febbre. Perché sugli altri malesseri si soprassedere, c’è poco tempo per pensare. I turni, spesso, sono diventati di sei ore, come in Humanitas. 6.00-12.00, 12.00-18.00, 18.00-24.00, 24.00-6.00. Sei ore. Ma non avevamo parlato di turni massacranti? Il panorama, recuperiamo il panorama.

S., infermiera collaboratrice in Humanitas, mi racconta che non ci si può svestire da soli. Un’altra persona deve sempre aiutare il collega perché il contagio è più facile quando ci si libera dei dispositivi rimasti a contatto in reparto. E, una volta vestito e con nessuna parte esposta, grazie a tuta, mascherina, visiera, da quel momento iniziano le sei ore (che non sono sei, quindi) e non si esce più dall’area Covid. Si suda, la divisa di cotone al momento della svestizione è bagnata. Non c’è possibilità di grattare il naso se prude, soffiarlo se arriva uno starnuto, disappannare gli occhiali se l’aria passa nel modo scorretto. Qualcosa messo male resta così. Gli elastici della mascherina? La spallina del reggiseno? La calza che cade? Una piega degli indumenti che preme da qualche parte? Non c’è modo di aggiustarli: quel fastidio nella testa durerà sei ore. Non si può fare pipì, né ovviamente altri bisogni. Il consiglio è di non mangiare né bere per almeno un’ora e mezza prima del turno, è vietato avere fame. Con l’incubo della contaminazione.

Questo disagio non ha avuto alcun riscontro economico. Si era parlato di 100 euro in busta, ma non esiste in nessuna voce della busta paga. Un infermiere di terapia intensiva, con le indennità, i turni, le notti, i festivi, guadagna 1.500 euro. In un normale reparto di degenza in prima categoria un infermiere guadagna sui 1.460.  Ma oggi tutti sono catapultati in un’altra realtà, senza nessun riconoscimento annunciato.

Anzi. A Magenta i tamponi si effettuano solo dalle 9.00 alle 13.00, da personale in riposo, o che fino ad una certa ora è occupato a lavorare altrove e quando si libera va a fare i tamponi. Ci sono colleghi, spiega anche qui un’infermiera, che stanno lavorando anche da quindici giorni consecutivi per dare la possibilità di garantire il servizio. Allo stesso stipendio di sempre.

Dopo sei mesi cosa è cambiato? Nulla. Stessa situazione di prima a gestire la stessa emergenza sanitaria, gestionale, strutturale, amministrativa. Aziendale. La capacità di trovare una soluzione della cosiddetta generazione incompiuta è il vero salvagente di Regione Lombardia, ma chi lavora in Sanità sa che è una fregatura.

Sabrina Carrozza

 

Premessa. In termini di bravura, nell’est ticino Lele Torreggiani quanto a capacità di scrittura gioca un altro campionato. Tra i e le terrestri, le due penne migliori (io mi auto escludo, gioco solo come pretoriano di ET) sono entrambe femminili. Sabrina Carrozza e Camilla Garavaglia. La prima anche più da politica politicienne, per natura, e la seconda più da cultura e affini e storytelling. Questo pezzo di Sabrina, come sempre, ha una linearità invidiabile ed esemplare. È solo ‘ellittico’ di una evidenza. Perché l’aziendalizzazione è forzata? Sempre per ragioni politiche, non sanitarie. Ed è così perché tra 2011 e 2012 quella disgrazia di nome governo Monti taglia 25 miliardi di euro alla sanità, col plauso di PD e Pdl. Nell’arco degli ultimi dieci anni, complessivamente, i tagli alla sanità sono ammontanti a 37 miliardi di euro: gran parte, perciò, decisi da un solo governo nell’arco di un solo anno (o poco più).

 Solo la Lega, va detto, si oppose con forza a Mario Monti. Il cdx, per fortuna, poi colse l’errore. E benché siano le regioni a gestire la sanità, chi mette le fiche al tavolo, ossia gli schei? Lo Stato. Ecco perché la migliore sanità italiana (nessun parametro lo ha mai messo in dubbio, in primis le decine di migliaia di pazienti extra regione) entra in difficolta da marzo. Perché 1 il Covid è peggio di uno tsunami, e 2 perché il modello Formigoni (esemplare, checché se ne dica) ha spinto sugli ospedali e meno sulla sanità territoriale. Dal 2010 ad oggi, ed escludo le decine di milioni per il nuovo ospedale di Legnano (dove manca solo Clooney per essere tipo Er), Abbiategrasso e Magenta hanno ricevuto tra i 65 e i 75 milioni di euro. Poi però, e Sabri ha ragione, mancano infermieri e anestesisti. Vero. Allora rileggiamo almeno 3 documenti di Luca Del Gobbo, tra 2016 e 2018, sui provvedimenti STATALI che non hanno consentito di rafforzare il ‘capitale umano’, così facciamo contento pure Paolo Virzi’. Qui non si tratta di scelte. Si tratta della IMPOSSIBILITA’ di adottare delle scelte. Ergo.. Dateci l’autonomia, dateci almeno una parte dei 54 miliardi di euro che ogni anno la Lombardia cede generosamente al resto d’italia (pure a De Luca, eduardiano di nuovo conio, che busca molti più dane di quelli che versa, basta avere licenza elementare e saper leggere) e così, oltre agli ospedali pubblici e privati migliori d’italia (si, privati :perché vorrei ricordare che il San Raffaele, migliore centro di ricerca italiano o giù di lì, contribuisce con le sue scoperte al bene di TUTTO il sistema sanitario), eviteremo a medici e infermieri questi calvari. Spero di essere stato chiaro e non eccessivamente lungo. Grazie ancora per il contributo (e per chi ci ha letto fin qui).

Fabrizio Provera

 

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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