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La morte di un avversario (visto da destra) E IL RISPETTO PER L’UOMO. Ancora odio? No, grazie (di Fabio Rampelli)

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Sta facendo molto discutere un post dell’onorevole Fabio Rampelli di Fdi, vicepresidente della Camera e tra i nomi più importanti della destra romana sin dagli anni Settanta e Ottanta, sulla morte di Gino Strada. Lo riproponiamo integralmente.

Ci sono stati molti commenti al mio post sulla morte di Gino Strada, alcuni di apprezzamento, altri terribili e talvolta irrispettosi. Non sono abituato a tirarmi indietro, né a seguire gli istinti primordiali della natura umana, quindi racconto ciò che penso, non dopo aver premesso che evidenziare ciò che di positivo ha fatto un avversario politico non significa erigerlo a modello. Tutt’altro.
Sono semplicemente consapevole, con buona parte della mia generazione (non tutta), che gli anni 70 sono stati una pagina tragica della storia italiana e vanno politicamente superati, condizione preliminare alla conquista di quella giustizia per i crimini commessi che continua a essere negata a molti ragazzi uccisi, di destra e di sinistra. Sulla materia ho presentato da tempo una proposta di legge per istituire una commissione parlamentare d’inchiesta allo scopo di accertare verità storica e responsabilità politiche sugli anni di piombo. Che fin qui non ha avuto molta considerazione. Quando ero segretario del Fronte della Gioventù di Roma interpretai alla lettera un documento politico di pochi anni prima, che fu uno spartiacque, il cui titolo era *La logica del superamento*, in cui si poneva una pietra tombale sulle contrapposizioni violente, si rifiutava per sempre lo spirito della vendetta, si faceva appello alla sinistra, anche ai ‘cattivi maestri’, per rompere lo schema di contrapposizione cruenta voluto dal sistema dal ‘68 in poi e riconoscersi tutti in un nuovo campo comunitario. Ciascuno con le sue idee, perché erano le idee in quanto tali la nuova trincea nella quale battersi, non solo le proprie idee, in un mondo che già all’epoca tendeva al pensiero unico.
Il manifesto che sintetizzava questa richiesta di pacificazione era contenuto nella rivista Morbillo (troppo lungo raccontare qui cosa fosse). Si trattava di un grande puzzle nei cui tasselli convivevano Nietzsche e Marx, D’Annunzio e Che Guevara, Lawrence D’Arabia e Mishima, Pasolini e Marinetti. E molti altri. La frase che li teneva insieme era emblematica: TUTTI GLI UOMINI DI VALORE SONO FRATELLI. Un sasso gettato nello stagno del riflusso nel privato, dell’archiviazione della militanza politica, destinato a scuotere un po’ tutti, anche quella destra autoreferenziale e sterile che sempre c’è stata e sempre ci sarà. Ma che non è mai stata la mia, da sempre pioniere movimentista.
Aggiungo che in forza di quell’analisi e di quell’appello nel 1983 la destra aveva rinunciato a farsi giustizia da sé dopo l’omicidio di Paolo Di Nella, allo scopo di fermare la spirale d’odio e provare davvero a costruire la vittoria in luogo della testimonianza.
Conosco i trascorsi di Gino Strada e so anche che chi ha attraversato quell’epopea – che definiamo ‘guerra civile strisciante’ – sarebbe potuto morire in un agguato o avrebbe potuto cagionare la morte di qualcuno. Risparmio qui le mie vicende personali o quelle della mia famiglia, ognuno avrà avuto le proprie e le vivrà con sé, traendone la morale che vuole. Roba da racconti nostalgici consumati davanti a una foglietta di vino rosso.
Gli Asburgo erano violenti, mi risultano reminiscenze e onori a loro dedicati, allo scopo della pacificazione. Giusto. Condivido anche le visite ai cimiteri austriaci, gli onori dati agli sconfitti della Grande Guerra, anche a taluni partigiani che hanno combattuto per la libertà e non per darci un’altra dittatura, mi commuove la canzone il ‘cuoco di salò’ del compagno De Gregori, consapevole del fatto che tra i ragazzi che aderirono alla Rsi c’era di tutto, ritengo monumentale la battaglia nel deserto di Alessandria d’Egitto tra inglesi e Italo-tedeschi, per non parlare di Perlasca, fascista e italiano che cercò di riscattare la nostra dignità di popolo dall’infamia delle leggi razziali del ‘38, salvando migliaia di ebrei dalla furia razzista.
Almirante fece visita a Berlinguer quando morì, come se il leader del Partito Comunista Italiano non fosse stato protagonista di violenze, e fu accolto da Pajetta che venne poi a omaggiarlo quando morì. Fu tra i simboli dell’antifascismo più irriducibile.
Non so quanti ettolitri di sangue versato siano conteggiabili citando questi e altri nomi, ma sono certo che non sia stato quello il parametro usato quando ci si rese protagonisti di gesti simbolicamente così forti da fare la storia.
Tantomeno può esserlo per giudicare la vita di Gino Strada, che peraltro non è mai stato processato per violenza politica, né quella di tante altre vittime della strategia della tensione, aggressori o aggrediti che siano.
Sapevo che non saremmo stati in molti a parlare da destra di questo lutto, sapevo anche che alcuni ambienti avrebbero dato fuoco alle polveri e cercato di cavalcare l’onda d’odio, ma proprio per questo ho voluto dare un segnale, lo stesso degli anni ‘80. Il superamento del rancore.
La battaglia contro il modello di società voluto da Emergency prosegue, ma non nega il valore umanitario di un’azione che quotidianamente è condotta per soccorrere i più fragili negli angoli sperduti del pianeta, Italia compresa, e che non si può certo disconoscere. Né gli si può imputare di essere la causa delle discriminazioni sociali o della fame nel mondo, semmai riconducibile a un modello turboliberista e neo colonialista sulle cui degenerazioni agiscono tante organizzazioni compassionevoli.
È semplicemente emozionante sapere che esiste gente, con qualunque opinione politica, che si dedica a chi soffre e intendo, anche da vicepresidente della Camera, rendergliene merito.
È stato un fazioso indigesto, ha lanciato messaggi più che discutibili, ma ha avuto cura di tanti bambini malati, ragazzi storpi finiti sulle mine, vecchi sdentati e affamati.
Come si fa a non riconoscerlo?
Onorevole Fabio Rampelli

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