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La grazia del dolore (e dell’amore)- di Emanuele Torreggiani

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La navata unica dell’antica chiesa e per l’ovunque la campagna nel silenzio alto dei campi innevati. Travi annerite e portale scardinato dalla guerra ieri trascorsa. Polonia, anno 1949. Nel bianco e nero che congela volti e luoghi matura la guerra fredda, Cold War di Pawel Pawilkowski. Un film sull’identità perduta, trafugata dalla propaganda totalitaria, trasfigurata poi nella mimetizzazione della fuga nell’Ovest e infine ricucita lungo il volontario ritorno passando per la prigionia, lo scherno della tortura, e infine ricongiunta dentro la stessa chiesa che, per quanto devastata ancora quindici anni dopo, è sempre lì, luogo dell’identità ritrovata. Identità in cui il culto, preghiera e promessa, coincide con la cultura. In quei due occhi del Cristo affrescato che sono tutto ciò che rimane del suo volto. Uno sguardo in primissimo piano. Occhi che vedono e comprendono, colmi della pietà, i due innamorati, già adulti ormai, sposarsi da se soli, e giurarsi come si giura, io sono tua e tu sei mio, nell’equilibrio reciproco che invoca il destino comune. La verità è un evento, non un significato. Cold War, un film d’amore.

Un musicista, una cantante. L’amore della vita. Lui scappa dalla Polonia stalinizzata. Lei no. Rimane. Anni dopo si ritrovano nella Parigi d’inizio Sessanta. Lei ha sposato, per procura, un italiano. Può lasciare la Polonia liberamente. Vivono insieme. Lui, un apolide, un senza patria, uno sradicato, non è più quell’uomo che era stato e che è ancora nel suo intimo profondo. Lei recita l’adattamento. Ma un giorno ritorna. Ritorna a casa per ritrovare quel suo Lui che si è smarrito nelle strade della metropoli occidentale. E lui tornerà consapevole di andare incontro al processo, alla condanna, al campo di concentramento, ai lavori forzati, alla tortura. Gli spaccheranno le dita, non suonerà più il pianoforte. Quindici anni di prigionia. Lei si adopera per farlo uscire anzitempo. È una donna stupenda. Consapevole. Consapevole che la grazia vive nell’anima, il dolore della carne presto guarisce. E lui. L’uomo della sua vita, uscirà anzitempo. Si sposeranno nelle vestigia della chiesa che li aveva visti incontrarsi davanti a quei due occhi che sono gli occhi dello spettatore che ha compreso e condiviso e amato. Gli occhi del mondo. Forte come la morte, l’amore. Un film profondo, complesso. Una storia intima che chiama tutti noi, gli europei, a riconoscerci per come eravamo. Era ieri. Quando si esce dalla sala cinematografica, alla fine della proiezione, rimane un filo legato alla storia, il filo di quel labirinto dal quale noi non siamo ancora usciti. Cold War, splendido.

Emanuele Torreggiani

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