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Dall'archivio:

La desolazione del calcio solitario – di Giuseppe Del Ninno (Barbadillo)

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Fra i regali che ci ha fatto questa prima estate “post-Covid” c’e’ il calcio senza pubblico. Ma il connotato degli stadi vuoti è solo una delle caratteristiche di questo sport popolare, che ormai da tempo, e non solo da noi, è andato ben aldilà del suo iniziale perimetro, luogo cioè dove ci si svaga (in fondo, sport e il vocabolo internazionale che ha sostituito il nostro “diporto”). La bella stagione sospendeva ogni tenzone agonistica di quella particolare disciplina, al contrario di quanto avveniva nell’antichita’ con la guerra,  di cui il calcio è l’incruenta metafora: allora si smetteva d’incrociare le lame d’inverno, e l’estate offriva invece l’occasione per misurarsi armi alla mano.
Uno spettacolo desolante
Quest’anno, sponsor la pandemia, i calciatori sono stati costretti ad affrontarsi nel periodo dell’anno abitualmente dedicato al riposo ed ai ritiri di preparazione per la nuova stagione agonistica. Lo spettacolo che ne deriva e’ desolante. Gli atleti, già provati da un lockdown inibitorio e tentatore (sesso e cibo senza regole, allenamenti privati fra abulia e monomanie, perfino qualche spinta verso la depressione), sono stati gettati in campo ogni tre giorni, in pratica senza poter preparare le singole partite, in orari impossibili che hanno alterato i bioritmi (si pensi a chi ha giocato fino a mezzanotte in trasferta, per rientrare in sede alle tre del mattino). E tralasciamo il capitolo infortuni muscolari, che hanno afflitto più di un calciatore, specie nel primo periodo di questo troncone di campionato, o l’altro del persistente pericolo di contagio. Che tutto questo ha risposto a esigenze extra sportive – televisive, pubblicitarie, contrattuali e dunque finanziarie – è sotto gli occhi di tutti.
Pallonate stanche
Ieri sera, facendo uno strappo alle mie abitudini vacanziere, ho assistito a Inter-Napoli. Mi è sembrato di seguire – svogliatamente, lo ammetto – una di quelle amichevoli da torneo estivo, dove in fondo non importa chi vince e chi perde, in attesa dei confronti che contano. E mi sono reso conto di un’altra delle caratteristiche del calcio d’oggi: quando manca o è di scarsa importanza la posta in palio, anche il naturale agonismo si snatura, e perfino il bel gesto tecnico resta fine a se stesso.

Scendendo nel particolare, l’Inter poteva puntare al secondo posto (il primo dei perdenti, secondo il suo stesso allenatore); il Napoli, dopo essersi assicurato la partecipazione all’Europa League grazie alla vittoria in Coppa Italia (bottino di consolazione dopo una stagione fallimentare), ha interpretato le non poche partite mancanti alla fine del campionato come un training in vista del ritorno di Champions col Barcellona (impresa che, alla luce delle ultime esibizioni, appare come “missione impossibile”). Il fatto è che anche il calcio, come la vita, è fatto di cicli e che se non ti accorgi – e provvedi di conseguenza – che quello in cui ti trovi sta per finire, poi sei travolto dagli avvenimenti. Questa capacità la Juventus l’ha dimostrata in sommo grado, le sue avversarie molto meno: la Juve di nove anni fa, quella del primo dei nove scudetti consecutivi, e’ molto diversa da quella ancora vincente di oggi; il Napoli – per restare a uno dei suoi “competitor” di questi anni – ha saputo farlo fino a due anni fa, quando ha pensato che bastasse cambiare allenatore per restare ad alti livelli (ma nessuno ha saputo sostituire Hamsik, Higuain, Jorginho o lo sbiadito Callejon di questi ultimi mesi).


Bulimia rischiosa
Dunque, la Juve ha vinto anche questo strano scudetto “post-Covid”, evviva la Juventus. Ma il calcio italiano deve sopportare una nuova ferita: quella di aver dovuto fare a meno del suo pubblico sugli spalti (e forse anche di gran parte di quello in poltrona). Pausa e attesa non sono termini congeniali alla nostra epoca: il calcio ha saputo superare scandali anche di vasta portata e convive con gli strutturali errori arbitrali, malgrado il Var; probabilmente saprà sopravvivere anche al Covid (e alla mortifera supremazia juventina). Altri sport popolari non hanno saputo farlo: penso al ciclismo e alla boxe, discipline basate sul sacrificio individuale e sulla lealtà, travolte, anche nell’immaginario popolare, dagli scandali del doping e della corruzione, che ne hanno minato quelle basi. Forse anche per il calcio inizierà un nuovo ciclo: da appassionati, speriamo che i suoi dirigenti (anche internazionali), fin dimostratisi non all’altezza, sappiano guidarlo verso nuove, condivisibili mete.

 

Giuseppe Del Ninno

(www.barbadillo.it)

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