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La commedia dell’arte, di Emanuele Torreggiani

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Dove si recita col gesto, il ghigno, lo sberleffo, lo sbuffo e si conclude in pernacchia ammiccando alla platea che, paga, plaude. Atellane e fescennini, cachinni. Così, in sintesi, la performance di Silvio Berlusconi giovedì sera uscendo dall’incontro con il Presidente della Repubblica. E ben se ne comprende la ragione. L’uomo è così, preterintenzionale caricatura di sé stesso.

E se ne compiace, il numero uno, come si dice, dei coatti quindi interpreta, al meglio, il peggio dell’italianità. E lo può fare, infatti fa, poiché la verità in politica latita. Alle appena trascorse elezioni non ha vinto né il centrodestra né il movimento. Infatti, alle esultazioni di vittoria, manca il numero che, in questa democrazia rappresentativa, è significato di potenza. Una potenza esclusivamente quantitativa, la qualità, come si sa, abbandona da decenni la patria e sua politica per altre nazioni. Quindi ogni esultazione suona per quello che essa è: falsa. Nulla osta, beninteso, alla menzogna di allignare ancora. Un governo si farà, forse sì, forse no. A chi importa? La miseria di queste ore, che ormai si assommano a giorni e settimane, dimostra assenza di progetto. Prospettiva. Destino. Al giorno per giorno arrembando dove due debolezze, centrodestra e movimento, s’illudono, componendosi, di costituire una forza. Due debolezze permangono due debolezze. Quindi? Non lo so, non m’importa. A me interessa il fattore umano. E ieri sera abbiamo visto l’uomo italico. Potente nella misura dell’approccio materico, carnale. Tutto il suo corpo in recitazione compulsiva: collimavano Balanzone, Brighella, Pulcinella. In quei gesti, dosati con la sapienza del capo comico cui la parte va stretta, infatti rintuzzava lo scorsoio della cravatta, la solitudine di un uomo tradito da tutti i suoi dicenti amici che ne hanno, consciamente, in ogni latitudine, esaltato le gesta per riceverne, di riflesso, un barlume di luce e mai vanagloria fu tanto meschina. Un priapismo d’ego magniloquente devastato da un’età volta all’ossidabile tramonto.

E la furia trattenuta poi a stento, le mani in tasca per non slegarle a schiaffi, nel cortile del Ricevimento del Quirinale mentre osserva, sgranando gli omeri a vecchio burattino, una dimora che mai abiterà, sia pur pro tempore. Ed ancora i servi suoi che lo aizzano. Pietà l’è morta, avrà scritto Nuto Revelli. Inevitabile, quando ci si ambascia a negare la verità. La commedia: Balanzone, Brighella, Pulcinella. Perepè, perepè, perepè.

Emanuele Torreggiani

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