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Io fiamminga, cinese, palermitana e lombarda: immensamente fiera di essere italiana

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“L’Italia è fatta, bisogna fare gli italiani” Questa frase attribuita a Massimo D’Azeglio, stava ad indicare che per quanto l’Italia, geograficamente e politicamente nel 1861 risultasse unita, in essa culture, tradizioni e dialetti erano ancora diversi tra loro.

Allora l’Italia era divisa in regni, il Regno di Piemonte e Sardegna, il Ducato di Mantova, il Ducato del Lombardo-Veneto, il Granducato di Toscana, lo Stato Pontificio (che esiste ancora oggi), e il Regno delle due Sicilie. Ognuno di questi Stati era indipendente; chi si spostava dall’uno all’altro veniva considerato uno straniero. Grazie al lavoro di ricostruzione di un’identità comune portata avanti soprattutto grazie ai letterati, alla narrativa, all’opera di immensi compositori, negli ambienti culturali, nei salotti dell’epoca, quanto nei vicoli popolari, il bisogno di unire questi stati, queste tante “Italie”, e creare un’unica nazione, raggiunse l’apice durante la Prima Guerra Mondiale.

I valori di libertà furono sufficienti a formare un’identità nazionale e un’Italia diversa.

“Un popolo unito dovrebbe far tacere i suoi contrasti e dovrebbe fondersi in un’unica volontà per la propria difesa”, affermava Benedetto Croce parlando dell’identità italiana. “L’Italia unita era un’idea quasi astratta, che non corrispondeva con la nazione-italia in frantumi.

L’Unità stessa sembrava quasi non essere voluta dalle nazioni europee per esercitare il controllo sui “più deboli”.

Eppure tutti Italiani, sia al nord che al sud, siamo d’accordo almeno su un aspetto: il bisogno di spiegare soprattutto ai giovani, che il processo fu lungo difficile, sanguinoso, ma che ne dobbiamo andare fieri … e sì, siamo diversi, tutti, ed è un plus.

L’educazione era la chiave per vincere ciò che divideva gli italiani, soprattutto quelli del nord con quelli del sud. Disse Francesco De Sanctis, uomo del sud, nel suo ultimo discorso politico, “l’invidia non crea nulla, ma distrugge ogni cosa.” Basta educare, attraverso mille modi, anche attraverso lo sport.

Siamo un paese ricco di differenze e ciò fa di noi italiani ricchi di tanto, di troppo.

L’Italia, una nazione che si può amare o odiare, senza vie di mezzo; una terra povera e generosa, ricca di tradizioni, di cultura, di cibi succulenti e prelibati, terra della quale sento ancora l’odore forte nelle narici di piante e paesaggi differenti, mare che sa di mirto selvatico in Sardegna, montagne odoranti di resina, colline verdi e rigogliose, pianure gialle di grano, isole fantastiche specchiate nel blu. Questa terra è l’unica vera madre degli italiani, non di politici, non di re, non di generali, ma di noi italiani. Essere italiano, probabilmente, significa non appartenere ad un solo paese, ma ad un insieme di fattori senza eguali al mondo.

Ma dove l’ha trovata, questa unità? Nell’arte, nella cultura, e soprattutto nella letteratura. L’Italia, con una storia alle spalle che è ineguagliabile, la sua immensa produzione letteraria, l’arte di grandissimi pittori, musica e compositori sublimi, cibi inimmaginabili, acque cristalline, picchi innevati. Questa è la mia Italia, la nostra Italia.

Cosa dire a difesa di un intero popolo che si riunisce soltanto quando ci sono i mondiali di calcio, un popolo permeabile, socievole, accessibile come le sue coste, un paese umile eppure tollerante alla ricerca di una vita migliore? Un popolo che sa essere generoso e buono o altruista?

Italia, figlia di Roma e della classicità, culla di cultura e civiltà; Italia del Petrarca, di Alighieri, che le ha dato una bandiera; Italia di Garibaldi, Italia servile e ma libera, sottomessa ma ribelle, madre pietosa di questi italiani, figli con tanti padri e tante madri.

Ha vinto. Le Olimpiadi Invernale del 2026. Ha vinto Milano. Ha vinto Cortina d’Ampezzo. Ha vinto Bormio. Livigno. La Valtellina. L’Alto Adige con Anterselva. La Val di Fiemme. Il Trentino con Baselga di Piné. Verona che ospiterà all’Arena la cerimonia di chiusura.

Il premier Conte che ci ha messo la faccia ed è andato a Losanna, rischiando di vedere assegnare le Olimpiadi bianche 2026 a Stoccolma. Ha vinto il patto trasversale politico tra le istituzioni cittadine e regionali. Contava presentarsi uniti alla meta e non da fratelli/nemici e diversi ma da ITALIANI.

Ha vinto il tanto bistrattato “sistema Italia”, ma che quando ci si mette, sa fare progetti e mostrarsi creativo: è la terza Olimpiade Invernale che l’Italia ottiene (Cortina 1956, Torino 2006 le precedenti), mentre Stoccolma si è candidata otto volte senza mai riuscirci

I Giochi saranno certamente anche il pretesto per mostrare che Milano è competitiva, attrattiva: dalla moda allo shopping di lusso, dai musei, ai teatri, alla Scala, ai suoi locali, che animano le notti; penso a Cortina, nel paradiso delle Dolomiti; mi aspetto che la Valtellina rinnovi la sua vocazione sportiva e non pensando all’indotto economico ma a quello ambientale; ed ancora, Anterselva capitale del biathlon, Baselga di Piné e la bella Val di Fiemme che sappiano coniugare la loro grande ospitalità con sapiente capacità organizzativa. La stessa Bormio ha ospitato due Mondiali di sci e un infinito numero di gare per la Coppa del Mondo: conterà pur qualcosa l’esperienza accumulata della pista Stelvio. Quanto a Cortina, che ospiterà anche i Mondiali di sci alpino del 2021, servirà un collaudo di piste, ospitalità e logistica.

“Divide et impera” scriveva Filippo il Macedone secoli fa. Io voglio gridare all’Europa intera una pungente frase a favore dell’Italia: ibi semper est victoria, ubi concordia est. (l’unione fa la forza).

E questa volta sono le Olimpiadi invernali, ma ricordo ai miei concittadini che abbiamo anche chilometri e chilometri di meravigliose e ventose coste. C’è sempre la coppa America; altri innumerevoli eventi, abbiamo impianti importanti in tantissime città d’arte, organizzare un’altra Olimpiade riflessa nelle “mille e una notte” delle innumerevoli bellezze italiane,perché noi … siamo terra di poeti, santi e naviganti …… e tanto tanto altro!

Laura Giulia D’Orso

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