― pubblicità ―

Dall'archivio:

Il Realismo Magico a Palazzo Reale, occasione per scoprire l’arte in Italia tra gli anni Venti e Trenta – fino al 27 febbraio

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

MILANO – Entrare nelle sale di palazzo Reale, dove siamo appena passati anche per Monet e per molti altri momenti di trionfo artistico della storia europea e di una Italia ancora principesca; trovarsi di fronte a questi dipinti :  ai non specialisti sconosciuti, insospettati; eppure di un tempo così vicino a noi; questa oggettualità debordante, con questi ritratti di persone che ti sembra di aver visto già da qualche parte… ecco, in questo sta il senso più ampio di questa mostra, sperimentabile anche dal visitatore ignaro; il pregio, papale papale, di scoprire qualcosa di vicino ed ignorato.
 

Aver portata all’attenzione del grande pubblico una certa arte italiana che è solo di ieri e che, impossibile non notarlo, ripercorsa oggi pare assai più vicina ora di quanto potesse esserlo, nella cronologia, quaranta anni fa! Ecco il primo merito di questa esposizione voluta dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale in collaborazione con 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE .

Una operazione a nostro parere importante, di cui si sentiva la mancanza : rimettere sul tavolo i fascicoli di un recente passato, magari incerto, magari correntizio, magari non così definito sia nei prodromi che negli epigoni (ossia, non siamo di fronte al movimento artistico conclamato e di vasto riconoscimento), ma un passato che ha davvero testimoniato e raccolto temperie, idee, posizioni (spesso anche molto diverse) intellettuali, artistiche, umane e sociali.

Un passato però eccezionalmente penetrante e vivo, nelle sue tante relazioni, nel suo intento di dialogare con una Italia moderna nascente, di cui gli autori hanno saputo cogliere uno spirito ‘iniziatico’ (appunto…) quanto un contemporaneo senso di declino e forse già disfatta, già dramma, già tragedia.

Certamente, anni in cui il potere dell’individuo in quanto tale, la sua forza innovativa, costruttrice o viceversa quella auto-distruttiva in una decadenza senza alcuna poesia, era al centro delle riflessioni e delle aspirazioni tanto artistiche quanto ideologiche del tempo. Quale tempo? Quella della modernità industriale, un tempo che pone l’uomo al centro di un mondo di cui è fautore e fattore. Un tempo iniziato a fine Ottocento – nel pensiero, nelle arti – progredito nelle climax europea degli Anni Venti, post bellici, ma che presto ritrova l’ombra oscura di se stesso nei forti venti di guerra e guerre che si addensavano sul continente. L’Italia, in particolare quella abbracciata dall’Arco Alpino, oltre le cui cime i legami economici ed artistici si diramavano seguendo traiettorie spesso personali e di varia direzione : chi guarda agli austriaci, chi ai francesi, chi dialoga con la vicina Svizzera ed il crogiuolo di intellettuali ed artisti ivi rifugiati, chi tiene porte aperte agli influssi dell’Est . E poi c’è la Germania, Berlino.

Piemonte e Liguria, Lombardia, Veneto : Torino – Milano, i Laghi. In fondo, un “asset” a noi lombardi degli anni 2000 ben familiare.

Dagli intellettuali ai capitani di industria, dalle figure di passaggio di una temperie culturale ed artistica orfana di un grande movimento che sapesse compattare ricerca, sensibilità e significati (anche perché il senso, dopo la Prima Guerra Mondiale era davvero difficile da ritrovare); se negli Anni Venti si scopriva il subconscio, dopo la Guerra si guarda agli oggetti inanimati della quotidianità (e spesso oggetti inanimati sono anche gli umani !) con sbigottimento ed interrogazione, a volte persino con rinuncia, resa, altri con riconoscimento identitario : il correlativo oggettivo.

Lasciate nell’Ottocento le meraviglie del paesaggio e della luce, è ai “rapporti contigui” con i corpi che si guarda. Corpi le cui ombre possono risultare anche molto sinistre.

Da questa interrogazione dell’oggetto, nascono le opere esposte a Palazzo Reale nella mostra intitolata “Realismo Magico”. Gli autori e gli stili presentati sono anche molto diversi tra loro: nella pittura, nelle esistenze, nelle posizioni politiche, nelle biografie e nelle sensibilità.

Eppure, questa – che io chiamerei più “vena” che non “corrente” o “movimento” – del “realismo magico” è una caratteristica che riusciamo a cogliere in ogni dipinto esposto, poiché davvero l’oggetto, la scena, piuttosto che l’umano, sembrano davvero voler dialogare con dimensioni non contenute nella semplice descrizione. La “mimesis” della Natura ha un senso ben diverso da tutto ciò che lo ha preceduto. Appaiono “tentativi” più che vere e proprie strade artistiche. Lo sfrangiamento del senso, esploso con la Prima delle Due Guerre, non poteva che dar luogo a diaspore e piccole accolite di personaggi e gruppi intellettuali tra loro anche molto divergenti, ognuno alla ricerca di uno stile ed di un pensiero che potesse interpretare la contemporaneità.

Certamente, come qualche critico ha rilevato, alcuni accostamenti dell’allestimento possono apparire non coerenti, oppure, osserviamo noi, non sarebbero fuori luogo in esposizioni con altri artisti ed altri titoli. Può darsi. Ma a noi pare proprio questa la cifra della mostra milanese: la reale varietà dei rapporti del tempo. La presenza di un certo autore od un dipinto sono ricondotte ad un discorso – che chiamerei “multiverso” – che il progetto espositivo pone alla propria base; una base storica e filologica, mirante ad “esporre” un ambiente culturale molto contaminato, forse non del tutto maturato, dotato di originalità, ove potevano capitare personaggi ed espressioni di provenienza (ed in qualche caso di arrivo!) molto diversa. Era proprio l’Italia di allora.

Del resto, stiamo parlando di una Italia ed di una Europa, tra le due Guerre del Novecento. E l’ombra nera che aleggia attorno, l’incertezza o la divaricazione dei riferimenti, è palpabile quasi quanto la stessa tempera sulle tele, attraversando la mostra. L’altra dimensione cui alludono alcuni dipinti, può tradursi in sensibilità verso il metafisico, ovvero la premonizione di una minaccia sul quotidiano. In alcuni casi non solo la premonizione di una tragedia incombente, ma il coglimento profondo di una deriva estraniante dell’uomo, dalla natura e dalla propria affettività.

L’uomo moderno, affacciandosi al Novecento, vagheggiando un antropocentrismo (e quindi, a seguire, un “Rinascimento”?) quattrocentesco, si misurava, in verità, con l’abisso che di lì a poco avrebbe ingoiato ogni impresa.

Rimarchiamo, inoltre, il particolare interesse per un cittadino lombardo, torinese, ligure e veneto : poiché sono proprio questi i centri nevralgici, tra dimore, industrie e ritiri, di questo panorama (spesso così severo!) ove artisti e moderni mecenati si muovevano ed intrecciavano (e nella mostra se ne vedono nomi e volti). Il Nord Italia nelle sue espressioni policentriche e comunicanti, ognuna in diversa direzione, con l’Europa.

Il rapporto tra autori, dipinti ed appartenenze (o no appartenenze) è non soltanto dialogico, ma anche dialettico.

“La definizione Realismo Magico riguarda un momento dell’arte italiana circoscritto, nella fase più creativa ed originale, in circa quindici anni, tra il 1920 e il 1935, rappresentando in sostanza il clima del ritorno al mestiere della pittura e una specifica declinazione di una temperie “neoclassica”, che ha tangenze con il gusto déco nella sua specificità italiana, ma anche di un ricercato “arcaismo quattrocentesco” e di ambigue atmosfere metafisico/realistiche. Allo stesso tempo a questo segmento dell’arte italiana si legano termini specifici quali realismo, magia, metafisica, spettrale, obiettivo, vero, naturale, surreale” – spiegano i curatori, Gabriella Belli e Valerio Terraroli .

<< Il percorso cronologico-filologico ruota intorno a capolavori italiani di questa specifica temperie, a loro volta messi in relazione con alcune opere della Neue Sachlickheit, la cosiddetta “Nuova oggettività” tedesca, che per primo Emilio Bertonati promosse e fece conoscere alla cultura italiana agli inizi degli anni Sessanta attraverso la Galleria del Levante, nelle sedi di Milano e di Monaco di Baviera. I confronti saranno anche con i caratteri del Novecento Italiano di Margherita Sarfatti, dai quali il Realismo Magico si distingue, ma con il quale condivide alcune personalità artistiche come Achille Funi, Mario Sironi, Ubaldo Oppi.

In mostra vengono esposte le opere originalissime di Felice Casorati, come il Ritratto di Silvana Cenni del 1922 (quello visibile sulla copertina di brochure, ndr), così come le prime invenzioni metafisiche di Giorgio de Chirico come L’autoritratto e L’ottobrata del 1924, ma anche le proposte di Carlo Carrà, con Le figlie di Loth del 1919, e Gino Severini con i suoi Giocatori di carte; tutti propongono un originale e tutto italiano “ritorno all’ordine”. >>.

Questo nelle parole degli organizzatori. Rimane poi il fatto che le opere siano ognuna pregevole e capace di raccontare qualcosa di particolare. E non sarà improbabile rimanere colpiti od affascinati (al netto di una eventuale tetraggine di fondo, ineludibile dato quanto già esposto) di questo o quel dipinto, di questo o quel particolare, di questo o quel autore od autrice.

Se non un punto di arrivo, la mostra è senz’altro un ottimo punto di partenza. O, per meglio dire, di ri-partenza, poiché, dichiaratamente, l’allestimento vuole riprendere, a trent’anni di distanza dall’ultima mostra milanese sul tema, un discorso filologico-artistico, storico e di conoscenza condivisa, cominciato proprio a Palazzo Reale di Milano sotto la cura di Maurizio Fagiolo dell’Arco, nel 1986.

Una mostra, questa voluta da Milano, capace di dimostrare quanta ricchezza vi sia ancora da riscoprire e rivalutare nel “paesaggio” artistico e storico italiano del Novecento; un corpus ancora sparpagliato ma che merita, oggi, studi e vetrine ampie e visibili, come quella di cui parliamo, oltre quelle particolari e locali cui ci si imbatte, fortunatamente, in giro per lo Stivale.

“Palazzo Reale torna a offrire al pubblico un’occasione unica per fare il punto su un periodo storico-artistico – quello tra le due guerre – che ha subito per molto tempo una damnatio memoriae, ma che negli ultimi anni è stato prima oggetto di una riscoperta graduale attraverso affondi monografici su singoli artisti che sono riusciti a mantenerne vivo l’interesse e ora oggetto di un vero e proprio trend di valorizzazione che culmina, dopo trent’anni di studi ininterrotti, in questa mostra corale sul Realismo Magico.

In particolare, è per la lungimiranza di un grande gallerista e critico d’arte, Emilio Bertonati (1934-1981), al quale la mostra in oggetto intende rendere omaggio e adeguato riconoscimento, per la sua intuizione e intelligenza critica che è stata creata a una collezione privata emblematica di capolavori del Realismo Magico, che questa mostra valorizza in maniera particolare, presentandola integralmente per la prima volta al pubblico milanese insieme ad altre opere provenienti da importanti collezioni e da Musei ” – come spiegano gli organizzatori.

A proposito di Emilio Bentornati, segnaliamo la mostra-omaggio, a quaranta anni dalla scomparsa, a Brescia, alla Galleria d’Incisione e titolata “Dal Simbolismo alla Nuova Oggettività”.

Svoltasi praticamente in contemporanea con questa a Palazzo Reale (entrambe aperte nell’autunno 2021), addirittura prorogata nel termine da gennaio al 15 febbraio 2022, questa esposizione bresciana (ove ritroviamo il nome di Terraroli) fa il paio perfetto con il “Realismo Magico” di Palazzo Reale.

Alessandra Branca ©2022

 

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi