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Il principe Federico Landi, feudatario di Turbigo

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TURBIGO – Fu il principe Federico Landi, principe della Val di Taro, ma anche feudatario turbighese ad incaricare Leone Pallavicino, cartografo incisore, attivo a Milano tra il 1590 e il 1616, di ‘fotografare’ il territorio turbighese alla fine del Cinquecento, ‘foto’ che noi oggi pubblichiamo ‘in evidenza’.

Uomo di cultura, ma anche fine politico, la figura e l’opera di questo personaggio  è stata delineata da Riccardo De Rosa nel libro ‘Un Principe, uno Stato: Vita di Federico Landi’ pubblicato dal Centro Studi della Valle del Ceno nel 2015.

Un lavoro di ricerca storica meticoloso e attento anche agli aspetti umani di un Uomo, prima che Principe, di un nobile Italiano, prima che Spagnolo, che noi abbiamo letto nell’angolazione ‘turbighese’. La vita di Federico si svolge a cavallo tra la fine del Cinquecento e il Seicento (il secolo del declino spagnolo), ma lo studioso ha indagato anche sulle origini dei Landi (1253-1569). Scrive Riccardo De Rosa:

“Le origini vanno ricercate nelle valli del Taro e del Ceno nel XIII secolo dove iniziano ad esercitare i diritti signorili. L’avvento dei Visconti vide i Landi schierarsi dalla loro parte (anziché da quella dei Torriani, ndr). Successivamente, la fedeltà asburgica è affermata da un diploma di Carlo V che concede in feudo il Borgo Val di Taro con il suo castello, un feudo che diventerà ‘imperiale’ con facoltà di battere moneta. Ciò permette ai Landi di penetrare nel patriziato milanese facendo matrimoni di alto livello, come quello della figlia di Agostino Landi, Porzia, che sposa il conte milanese Ludovico Gallarati”.

FEDERICO LANDI (1573-1661) ereditò alla morte del padre nel 1589, conte Claudio Landi, tutti i possedimenti (feudi e beni allodiali), ma anche l’impegno dell’onere della dote alla sorella Maria per il matrimonio con il Signore di Monaco, Ercole Grimaldi (questa famiglia monegasca, ancor oggi al potere, ha quindi nel suo Dna il sangue del Landi). Tutta la vita di Federico fu attanagliata dal conflitto con Ranuccio II Farnese che si estinse solamente con la morte dei contendenti. Uomo di qualità “retto e giusto, colto e buon statista” scrive De Rosa, che alla fine della sua vita si fece promotore della pubblicazione di tre importanti volumi a stampa. Nel secondo ‘Libro de la descrizione in rame de li Stati et Feudi imperiali di don Federico Landi’ è incluso anche il feudo turbighese, il quale ebbe due edizioni nel 1615 e 1617.

Un disegno del feudo turbighese, inserito in detto libro, fu rintracciato a Londra da chi scrive, mentre una copia del libro è conservata alla Biblioteca Trivulziana di Milano.

TURBIGO. La comunità turbighese si legò con quella dei Landi a partire dal 1580 quando fu rogato a Milano il testamento di Guido Gallarati, figlio di Porzia Landi. I Gallarati non avevano mai stabilito dei buoni rapporti con i turbighesi, aumentando continuamento la pressione fiscale e inimicandosi la potente famiglia dei Piatti che a Turbigo faceva il bello e il cattivo tempo da secoli. Difatti i primi cinque parroci turbighesi (la parrocchia fu fondata nel 1495) portano il nome dei Piatti e a quel tempo il cardinale Flaminio Piatti (1550-1613) era nunzio apostolico in Spagna.

PORZIA LANDI, per eredità maritale, divenne proprietaria di numerosi beni allodiali a Turbigo tra cui boschi e cascine. Il 14 maggio 1590 Porzia, ormai vedova da un decennio, cedette al nipote Federico i suoi beni e poco dopo morì (1591). Federico nel 1596 fece fare l’inventario dei beni turbighesi incaricando Leone Pallavicini di rappresentarli in una incisione ed è per questa ragione che Turbigo può vantare un tale disegno ‘a volo d’uccello’ che pubblichiamo.

PLACIDIA SPINOLA. Nel 1598 Federico sposò la nobildonna genovese Placidia Spinola dalla quale ebbe un’unica figlia Polissena, ma ebbe anche altri due figli naturali dalla contessa Laura Simonetta per i quali sostenne i costi della loro educazione.  Filippo III nel 1612 concesse il ‘Toson d’Oro’ al principe Federico Landi (una onorificenza simile a quella del Collare dell’Annunziata dei Savoia) e nel 1619 fu nominato Commissario Imperiale per i feudi italiani.

Fu in occasione del matrimonio della figlia Polissena che la mamma Placidia impegnò i beni turbighesi a lei intestati: 200 pertiche di terreno arabile e un palazzetto in centro del paese (probabilmente l’attuale palazzo de Cristoforis). Placidia morì nel 1644.

POLISSENA LANDI (+1679). Il 30 aprile 1627 fu celebrato a Bardi, in pompa magna, il matrimonio di Polissena Land mi con Giovanni Andrea II Doria. Tre anni prima, il 4 febbraio 1627, era stato stilato l’atto dotale in cui furono elencati i beni turbighesi subito affittati a Giovanni De Cristoforis, massaro dei Landi. (Nello Statuto feudale dei Landi il massaro era una sorta di tesoriere che aveva il compito di riscuotere le ammende pecuniarie dei reati che si estinguevano con una somma di denaro).  Il 13 giugno 1630 Federico firmò il passaggio dei poteri alla figlia e al genero, ma continuò a far sentire la sua presenza. Sono gli anni della peste ed è documentato che il principe venne a Turbigo per controllare la diffusione dell’epidemia e non mancò di ordinare, nei suoi feudi, il divieto di assembramenti che diffondevano il morbo (come oggi per il Covid 19). Polissena ebbe tre figli: Andrea III, Giovanna Placidia, Filippo.

La Regia Camera spagnola, sempre alla ricerca di soldi, il 1° settembre 1658 confiscò il feudo turbighese e per riaverlo fu necessario pagare una forte tassa per la ‘Redentione’ (riscatto del bene confiscato). La controversia si risolse nel 1661, poco prima della morte di Federico, sborsando la bella cifra di 2295,26 lire imperiali, calcolate sui fuochi del paese che erano 85 per ognuno dei quali il fisco calcolò la rendita di 27 lire imperiali.

GIOVANNI ANDREA III DORIA LANDI. Nel testamento Polissena assegnò Turbigo al nipote Giovanni Andrea III che aveva sposato, nell’ottobre 1671, Anna Pamphili, della famiglia di papa Innocenzo X, unica figlia del principe Camillo. Ragion per cui unì le proprie armi con quella dei Pamphili e dei Landi diventando il nobile più ricco d’Italia. Vivendo a Roma non era più interessato al feudo turbighese che presto passò in altre mani.   

 

FOTO IN EVIDENZA Il feudo turbighese dei Landi alla fine del Cinquecento; don Federico Landi e Polissena Landi, feudatari turbighesi nel Seicento

 

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