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Dall'archivio:

Il post elezioni e la resa dei conti. A cura di Matteo Spigolon

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Il giorno dopo le elezioni è quel momento in cui si tirano le somme. Alcuni gioiscono, altri si devono leccare le ferite. Ogni tanto la ruota gira: c’è chi sale e chi scende, c’è chi risale e chi torna negli inferi.
Personalmente, ho imparato tanto in questi ultimi sei mesi non stop.

 

Se la campagna elettorale dovrebbe essere permanente e non fermarsi mai, c’è sempre quella fase clou (generalmente i due-tre mesi che precedono il voto) in cui si dà fondo a tutte le energie.

Se consideriamo le amministrative di giugno e le politiche appena terminate, ho avuto un periodo tiratissimo.

Ma non posso che essere soddisfatto: più vai in profondità nel tuo lavoro, più casistiche riesci a gestire e meno sorprese avrai in futuro.

Se è vero che ogni campagna elettorale è a sé stante, altrettanto vero è che ogni anno che passa ci sono meno situazioni incerte da gestire e molte di più su cui si ha un concreto pregresso.

Si chiama esperienza.

Pur non potendo mai fare i nomi, sono grato a chi mi ha dato possibilità di maturarla sul campo.

Un campo che, a livello nazionale, ha restituito risultati netti, vincitori e vinti.

Tutti, ovviamente, accendono i fari su Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni (io l’avevo fatto il 14 dicembre 2017 in questo articolo, quando era ancora sotto il 4%), ma che dire della rimonta del M5S quando era ormai dato per spacciato?

 

Nessuno si sarebbe immaginato che la Lega, in caduta libera, e Forza Italia sarebbero arrivate praticamente alla pari.

Per come era iniziata, Calenda sembrava dovesse spaccare il mondo, ma così non è stato (pur avendo conseguito un risultato di tutto rispetto).

Il PD non è andato bene, ma pur barcollante è sempre lì, e ora si appresta a una lunga traversata nel deserto che culminerà con l’elezione di un nuovo segretario (o segretaria) e, forse, una nuova linea politica da sviluppare all’opposizione.

 

In molti si chiedono se il prossimo governo di centrodestra, salvo sorprese di cui in Italia bisogna sempre tener conto, durerà o cadrà sotto i colpi di un Salvini che sarà necessariamente costretto a fare l’opposizione interna per non soccombere definitivamente.

Altrettanti si chiedono quanto durerà il momento d’oro della Meloni.

A queste due domande rispondo in un colpo solo: considerata la fluididità del voto e la velocità con cui l’elettorato si innamora follemente e poi disinnamora dei leader (ai quali sono legati i destini dei rispettivi partiti), i repentini successi seguiti da fragorose cadute (leggi Renzi, Salvini, etc.), il contesto economico-finanziario globale, risulta difficile pensare che alle Europee del 2024 i rapporti di forza rimangano immutati.

Qualcosa succederà, anche all’interno delle forze politiche.

Io non vedo sfumature all’orizzonte: o tutto o niente. Un cambiamento radicale o il mantenimento dello status quo. Niente mezze misure. Questo è quello che mi aspetto dalle lotte intestine ai partiti.

Oggi, in un articolo sul Foglio, l’ex ministro e segretario della Lega, Roberto Maroni, ha invocato la sostituzione di Salvini, dicendo di aver già un nome in mente.

 

Chi ha letto il mio libro, Elezioni Mortali, in particolare la parte tra pag. 64 e pag. 72, vendendo come si muove, non avrà difficoltà a capire di chi si tratta.

Non è detto che questa o altre operazioni vadano in porto, ma di certo i prossimi mesi saranno interessanti per gli osservatori esterni.

Io preferisco sempre vivere le situazioni dall’interno, ma è questione di gusti.

Matteo Spigolon

 

 

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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