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Il ‘Pollaio’ di Magenta, in via Santa Crescenzia- di Sabrina Carrozza

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A Magenta, in via Santa Crescenzia, c’era un cortile. Come tanti. Il portone si apriva sulla strada, tra due ali di palazzo, e lasciava accedere ad un’area quadrata interna, coi palazzi intorno. Un tipico schema lombardo, niente di particolare. Un’architettura nota da secoli, sul modello della villa romana.

Quel cortile collegava la strada ad un grande condominio, che qualcuno aveva soprannominato “il Pollaio”. Un palazzo grande e non particolarmente curato. Un palazzo molto affollato.
Il Pollaio era, infatti, il punto di arrivo dei terroni del Sud. Quando i giovani decidevano di emigrare, grazie a una sorta di passaparola e di mutuo soccorso sapevano che, finché non avessero trovato una stabile occupazione, finché non avessero potuto affittare un monolocale in un’altra corte, finché la situazione non si sarebbe anche solo minimamente stabilizzata, potevano stare nel Pollaio.
Arrivavano tutti e dormivano lì, dove trovavano, negli appartamenti, insieme. Il ricambio era sostenuto, anche perchè chi non riusciva a uscire da lì in poco tempo – salvo qualche eccezione – cercava altrove, spostandosi in Lombardia o più a Est. Nessun problema. Arrivavano tutti dalle stesse Regioni. Spesso molti erano parenti, spesso arrivavano dallo stesso paese. Il bagaglio personale di tutti era davvero scarso.

Faceva freddo, nel pollaio. Non c’erano doppi vetri e spesso i serramenti erano in pessimo stato. D’inverno, quello vero, lungo e grigio e con quella nebbia che non mostrava nemmeno il palazzo di fronte, sul lato opposto del quartiere, con quella nebbia che durava tre mesi e con il sole che ricompariva solo in rarissime eccezioni, nel Pollaio si dormiva con il cappotto e con il cappello di lana. In quelle stanze piene di spifferi, a quelle finestre si formavano dei lunghi e sottili ghiaccioli.

Tante persone sono passate di lì. Oggi, l’esistenza del Pollaio mi è stata raccontata con il sorriso. Chi è passato di lì, dormendo con tre maglioni, oggi resta un terrone per alcuni, ma ha cambiato decisamente le proprie condizioni, ha una famiglia, qualcuno ha nipoti. Perché il Pollaio non esisteva il secolo scorso. Il Pollaio non è un fogliettone ottocentesco. Non è un luogo avvolto nella leggenda. Ma era una realtà di quaranta, trentacinque anni fa.

Oggi, il palazzo che si affaccia sulla strada ospita una serie di ambulatori e il cortile è signorile, con un po’ di verde, i sampietrini, pulito, silenzioso. Altri passaggi, altri affollamenti, altre classificazioni, altri freddi e altre speranze passano altrove.

Sabrina Carrozza

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