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Il mio mondo #ecobio- Occhio ai furbetti e al finto ‘bio’, di Cristina Garavaglia

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Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

 

Greewashing e dintorni

 

Argomento delicato oggi e per niente facile ma prima o poi ci dovevo arrivare per aiutarvi a fare acquisti consapevoli, sempre che ovviamente vi interessi, e soprattutto a evitare i furbetti della cosmesi eco-bio.

Precisamente voglio parlarvi del Greenwashing, il cui nome tecnicamente nasce nei primi anni ’90 per descrivere le strategie di marketing portate avanti da aziende che avevano cercato di proporre il tema della sostenibilità ambientale per sviare l’attenzione pubblica dall’inquinamento derivante dalle loro attività produttive (fonte Glossario Marketing).

Come è facilmente intuibile il nome è un mix tra le parole Green (che richiama al rispetto dell’ambiente) e Whitewashing (che si potrebbe tradurre in smacchiarsi): in italiano è possibile parlare di “ripulirsi di verde” ossia presentarsi al consumatore come impeccabili dal punto di vista ecologico senza esserlo.

Logicamente stiamo parlando di un atteggiamento del tutto opposto al concetto di sostenibilità ambientale e/o di sviluppo sostenibile elaborato nella Conferenza ONU di Rio del ’92 secondo il principio in base al quale è necessario portare avanti scelte produttive e di consumo che non pregiudichino le generazioni future (fonte Dizionario di Economia – Treccani).

 

Ma tornando al Greenwashing e scendendo nel dettaglio si è di fronte a tecniche di marketing volte a dare un’immagine naturale e ecologica ai propri (o alcuni) prodotti in modo da influenzare le scelte di acquisto di noi consumatori.

E ovviamente si tratta di un fenomeno di portata mondiale che sta avvenendo in tutti i settori, ma in modo molto evidente nel mondo della cosmesi dove ormai il trend è quello di avvicinarsi al mondo del biologico e dell’ecosostenibile.

Non a caso un sondaggio condotto dalla Commissione UE ha evidenziato che oltre il 70% dei consumatori è attento alle tematiche ambientali e disposto a comprare prodotti ecocompatibili, una vera manna per chi si affaccia su questo mercato.

Assistiamo quindi al sempre maggior proliferare di aziende (soprattutto multinazionali) che propongono sul mercato prodotti naturali sia per aumentare il fatturato (catturando i consumatori che vorrebbero usare bio) sia per ripulirsi la diciamo coscienza in termini eco-friendly.

 

Ed è un discorso molto più complesso della semplice pubblicità ingannevole che giustamente è vietata e sanzionabile dall’Antitrust (e ci sono stati casi eclatanti in Italia) e soprattutto delle etichette false che costituiscono reato (=contraffazione).

 

Vi devo però anche dire che ad oggi non esistono norme specifiche che lo vietano ecco perché è importante conoscere per evitare.

 

Si potrebbe citare il codice di autoregolamentazione della comunicazione commerciale che dal 2014 ha vietato le forme di comunicazione che evocano benefici ambientali in assenza di dati verificabili.

 

Ma capite bene che è solo la punta dell’iceberg perché le aziende finte green fanno passare ben altro messaggio.

 

Di fatto queste aziende formalmente risultano impeccabili, ma di fatto inducono il consumatore a pensare di aver acquistato un prodotto naturale magari anche eco-bio.

 

Ma come lo fanno?

 

Oh con delle splendide scritte riportate sulla confezione in cui si mette in bella vista parole come Naturale, Bio oppure uno degli ingredienti (normalmente presente in bassa percentuale) che il consumatore riconosce come naturali, può essere Argan come Aloe poco importa.

 

E se ci fate caso il packaging e il marketing pubblicitario è talmente curato che queste scritte ben visibili sono in colore verde o addirittura la confezione lo è: sto parlando della cosiddetta Psicologia del colore (che si studia non a caso nella facoltà di Economia) che serve a capire come orientare (e quindi indurre) gli acquisti, nulla di più semplice.

 

Il verde è infatti universalmente conosciuto per richiamare la natura, il biologico, l’ambiente.

 

E ecco che scatta la fregatura.

 

Basta infatti leggere l’etichetta per capire che sì l’ingrediente naturale è presente (e quindi formalmente è tutto perfetto), ma essendo costoso (pensate all’olio di Argan), lo è spesso all’ultimo posto oppure è accompagnato da tanti ben siliconi e derivati petroliferi (ovviamente nelle prime posizioni) da essere inutile la sua presenza, visto che la performance del prodotto è dovuta solo a questi ultimi.

 

E non pensate che riguardi solo i prodotti da supermercato perché anche i marchi blasonati (o ad uso professionale) si comportano così.

 

Un’altra fregatura è rappresentata dai cosiddetti “Claim free from” che finalmente ad agosto verranno pesantemente limitati.

 

So parlando delle diciture riportate sulle confezioni in cui si mette in evidenza l’assenza del tal ingrediente (di solito i siliconi o i parabeni) facendo intendere che il prodotto sia migliore (di altri) proprio perché non li contiene.

 

Ebbene questi Claim non hanno alcun senso visto che gli ingredienti in questione non sono proibiti dal regolamento sui cosmetici e assumono tanto il sapore di presa in giro del consumatore.

 

E anche questo è Greenwashing ne più ne meno.

 

Riassumendo si potrebbe dire cornuti e mazziati, sia perché in realtà si sta danneggiando l’ambiente (e non è quello che desideravate acquistando quel prodotto) sia perché dell’ingrediente veramente prezioso e costoso c’è ben poco (ma lo avete pagato).

 

E soprattutto oltre al danno la beffa perché questa pratica che può indurre il consumatore a perdere fiducia nel biologico nuoce gravemente alla credibilità delle aziende e dei prodotti veramente eco-bio.

 

Non a caso sul web si stanno sviluppando forme di contrasto e di denuncia molto critiche nei confronti dei furbetti del bio.

Ma come difendersi? Ve lo dico subito, non è facile. Primo passo importante: imparare a leggere l’etichetta e acquistare solo prodotti in cui gli ingredienti naturali siano indicati nelle prime posizioni e in cui non siano presenti derivati petroliferi.

Per capirlo potete usare l’app gratuita Ecobiocontrol.

 

Seconda cosa molto importante: acquistare solo da piccole aziende artigianali meglio ancora se italiane e/o certificate da Enti riconosciuti a livello europeo, come Ecocert, Natrue, Cosmos, o italiane come AIAB, e per fortuna ciò è possibile grazie al canale delle bio profumerie, sia fisiche che online.

 

A proposito la certificazione Vegan ok non serve a assicurare che il prodotto sia biologico e tanto meno la dicitura non testato su animali che lascia il tempo che trova.

 

Se non avete intenzione di spendere tantissimo vi segnalo che anche nella grande distribuzione potete trovare prodotti a prezzi ragionevoli certificati ad esempio Omia o le varie linee della Pierpaoli che si differenziano da catena a catena (potete leggere il nome del produttore sul retro della confezione).

 

Prestate invece attenzione nei negozi biologici che trattano prevalentemente alimentari perché potreste incorrere in sorprese poco piacevoli.

 

E da ultimo ma non meno importante occorre guardare all’azienda nel suo complesso perché non importa se il singolo prodotto è veramente naturale quando è proposto da una multinazionale che è tutt’altro che amica dell’ambiente (e non solo, purtroppo).

 

Ovviamente la cosa non è facile ma cercando su Google il nome dell’azienda e la parola tutela ambientale potrebbero apparire informazioni interessanti.

 

Spesso queste informazioni sono presenti su siti particolarmente attenti all’ambiente e all’etica, come GreenPeace o Peta.

 

Ma pensate che sia finita qui?

 

Ehm no, stiamo infatti assistendo a un’ulteriore fase di evoluzione del mercato del Greenwashing 2.0: quella della scopiazzatura spudorata di prodotti veramente eco-bio.

 

Basti pensare all’inserimento nel mercato delle erbe tintorie da parte di un’importante multinazionale che sino ad oggi ha proposto solo prodotti di sintesi e che all’improvviso ha scoperto l’hennè (ma va?!?).

 

Dubito si tratti di una conversione dettata da nobili motivi ma di una scelta strategica per catturare quella parte di mercato interessata alle tinte naturali e che quindi si fida del marchio.

 

Non è infatti un caso che in rete il mondo di chi usa e conosce da tempo le erbe tintorie stia pesantemente criticando questi prodotti (che sono pure carissimi).

 

Ma andiamo pure oltre con la fase 2.0: una famosa azienda di cosmesi tradizionale ha scopiazzato uno dei prodotti di make-up di una realtà eco-bio, peccato non poter fare i nomi, sarebbe divertente effettuare il confronto.

 

Per contro abbiamo invece aziende note per i loro prodotti eco-bio (anche certificati) che propongono alcuni prodotti non bio, generando confusione nel consumatore poco attento.

 

Oppure aziende eco-bio che per catturare una fetta di mercato si prestano ad accostare il proprio marchio a influencer discutibili e programmi spazzatura.

 

E addirittura siamo arrivati al punto di premiare come novità dell’anno in una fiera del biologico il prodotto (bio su questo non discuto) di una grande azienda che di eco-bio non sa praticamente nulla, a posto siamo. Ahia che pessimo periodo stiamo vivendo per la cosmesi veramente eco-bio.

NdR volutamente ho scelto di non fare nomi di aziende, tanto trovate tutto su Google

Cristina Garavaglia

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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