Dopo l’esordio sul finire dello scorso anno, torna su Ticino Notizie IL MESE IN 5 MINUTI, la gustosissima (e sapientemente scritta) news letter (o simil tale) che Camilla Garavaglia pubblica su Linkedin. Giornalista, copywriter e sommelier, ormai si può serenamente dire che Camilla è la migliore ‘penna rosa’ dell’Est Ticino. Buona lettura.
A gennaio mi sono presa una vacanza.
Non da tutto, certo: ci sono cose da cui non puoi prenderti mai una vera vacanza. La vita continua anche senza di noi, cantava uno che più passano gli anni e più a citarlo farò corrugare le giovani fronti (maledette, giovani fronti), e mentre la vita continua io provo a ignorarla, palette Pantone alla mano per dare un senso a tutto questo azzurro.
Sì, ci sarà un giorno in cui questa newsletter sarà tutta bella in ordine con pulsanti e pulsantini su Substack, ma quel giorno non è oggi.
Sigla.
Il tema, boh, del mese scorso e del mese corrente è uno solo. Non stiamo tanto a girarci attorno che poi mi annoio: Chat GPT. Improvvisamente tutti sembrano aver scoperto con quanta facilità si possano scrivere buoni testi usando l’intelligenza artificiale.
In merito vorrei dire solo due cose:
Normalmente mi tiro indietro quando si parla di bambini, parti e amenità varie. Oggi però mi sento ispirata e voglio fare da nave scuola per l’amico Chat GPT.
Chat GPT, siediti (ce l’hai almeno il culo?) che ti spiego come funziona il mondo: allora, in pratica c’è una questione di cronaca dolorosa, i giornali la diffondono e la raccontano ciascuno secondo la propria Weltanschauung (vatti a studiare un po’ di tedesco, Gipiti, che tanto ci metti un secondo), poi è il momento degli influencer, che decidono insieme alle agenzie di comunicazione che è il tema è caldo e lo cavalcano; arrivano quindi i content creator e le pagine di divulgazione che ci fanno caroselli e slide per spiegarci – come se non avessimo delle amiche che hanno partorito – quanto fa schifo la violenza ostetrica. Questo per un paio di giorni, poi il tema cambia e si ricomincia da capo.
Come dici? Siamo degli idioti? Ma no: è solo che nessuno ha più voglia di lavorare. Manco io, figurati. Mi generi un articolo su come si prepara la borsa da portare in ospedale per il parto? 500 parole, grazie.
Generare. Che verbo antico.
Credi nel destino?
Io no. Ma dei libri letti in questo mese di gennaio ben quattro (QUATTRO) si parlavano tra di loro. Non scherzo: leggendo “Usi e costumi 1920-1940” di Irene Brin ho ripensato a “L’anno del pensiero magico” di Joan Didion, letto il giorno prima: un periodo, forse un personaggio, che ora non riesco a ricordare, veniva citato in entrambi i libri. Pitigrilli, scrittore torinese, viene nominato sia da Brin sia da Serena Dandini nel libro “Cronache dal paradiso” che ho letto come quarto libro, mentre Colette, autrice del terzo libro, veniva nominata da Brin. “La vagabonda”, il romanzo che avrei voluto leggere a Parigi, a sua volta riprendeva Brin (ma ovviamente non avendo preso appunti non so né dove né perché). Tutti e quattro parlano di, o citano, Proust.
Sembra tutto molto confuso. Lo è. Scegliamone due.
“L’anno del pensiero magico” è la cronaca impietosa dell’elaborazione di un lutto. Quello, terribile, di una moglie che perde il marito all’improvviso dopo una vita di complicità e interdipendenza. Non è il tipo di libri che leggo volentieri, ma la scrittura cruda, lontana dalla retorica, mette così a nudo i pensieri di Didion che diventa poi difficile chiudere la porta prima che la storia sia finita. Prima che una nuova storia ricominci.
Se non sai cos’è il pensiero magico e non hai voglia di cercarlo su Wikipedia, pensa a me che faccio la danza del sole in vacanza per mandare via le nuvole di pioggia (comunque, ha funzionato).
Avevo bisogno di stare sola perché lui potesse tornare indietro: questo è l’inizio del mio anno del pensiero magico. “Usi e costumi 1920-1940” è il mio nuovo libriccino preferito. Irene Brin è lo pseudonimo scelto per Maria Vittoria Rossi da Leo Longanesi: giornalista e scrittrice, Irene Brin racconta negli anni Trenta per il settimanale Omnibus le “cose viste”, questo il titolo dei brevi articoli con cui descriveva i vizi e gli ozi della borghesia in bilico tra le due guerre. Quegli anni Venti, così simili ai nostri, così vuoti di sostanza ma pieni di oggetti e agi in cui perdersi, ritornano tra le pagine del libro edito da Sellerio con prepotenza. Diete, profumi, personaggi da rotocalco, scandali, chewing gum, musica e cinema. La sensazione finale è che no, in fondo non abbiamo inventato proprio niente.
Una beata indifferenza avvolgeva ogni proprietario di grammofono e la sua atmosfera, isolandoli, le ceneriere erano sempre piene di puntine usate, e nella cassa armonica si ritrovava, ben piegato, un golfino, che ammorbidisse dopo le dieci di sera i troppo possenti ritmi di Ellington. A gennaio ho letto anche “Giustizia – il nostro bene comune” di Michael Sandel, “I quattro accordi” di Don Miguel Ruiz e ho iniziato “Infinite Jest” di David Foster Wallace. Sono 1000 pagine + 200 di note, resto ottimista.
Il Saperavi è un vitigno della Georgia che Winery Khareba ha deciso di far macerare per mesi sulle bucce, con fermentazione in anfora di terracotta, metodo antichissimo. Scuro, denso e sanguigno, sa di terra e di selvatico: ha vinto diversi premi, tutti meritati.
Si beve nella coppa di Pitagora, quella fessurata da cui il vino cola e si disperde se, peccando di hybris, la si riempie troppo.
Di bot, di mari e di illusioni
Sacrebot!
Generare
Le letture del mese
Il vino del mese