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Dall'archivio:

Il lungo tramonto

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Per decenni e decenni mirabilia sul rispetto della donna. Una pre rapper mania cui diede il via la facile rimetta “l’utero è mio, e me lo gestisco io”, e le dita a ‘delta di venere’ (leggasi Anais Nin, che dell’argomento è scrittrice sovrana). E adesso che la partita entra nel vivo, non stiamo parlando di calendari per camionisti o barberie, ma del ‘palcoscenico sul quale ciascuno recita la propria parte’ di carne senza sangue (ancora il bond di Shylok?), il silenzio non fu davvero mai tanto scritto. Mi riferisco agli uomini, nella definizione di genere maschio, che vogliono fare i papà. I maschi che assumono, dopo aver provveduto all’inseminazione tecnica, il pargoletto. In attesa che il titanismo della tecnica produca un ventre generativo al carbonio, sarà pur sempre una donna che ‘spalanca le gambe alla vita’ (Marina Cvetaeva). E questa donna che spalanca le gambe alla vita, che si dà a madre, provvida una mercede, che ne sarà? Nulla. A lei provvede un contratto, inseminazione, gestazione, parto. Un tot per la lavorazione di nove mesi e, silenzio. Si tace. Il pargoletto nasce orfano di madre pur in vita. Ma di padri ne ha due, ora non so se il seme sia di uno solo o piuttosto come per il Negroni sbagliato… ma il piccolino ha due papà. Per la definizione del burocraticamente corretto: padre 1 e padre 2. Però il femminismo, non solo nostrano, tace. Di quel corpo affittato che neppure Jean Arthur Rimbaud, nella sua stagione all’inferno, aveva premonizione vaga, si tace. Se ne tace come si tace di un tradimento, di un’onta. E nel tacere il mondo plaude. Il diritto di essere padre monta, per così dire, in cattedra. Il diritto, spesso la verità impazzita, sganciato, disaggregato dalla realtà della natura. (Verità e realtà non coincidono, come mai?). Natura che non è matrigna da definizione morale. La natura è la natura. Estranea ad ogni morale. L’amorale perfetto. In cui, però, l’energia è costante: E=K. Ma la verità del diritto è più forte, perché l’uomo ‘eletto al governo del mondo’ (Le città terribili, Gabriele D’Annunzio) la surclassa e porterà in giudizio la verità dello tsunami, reo di ecatombe… il Vesuvio per i fatti di Pompei, Ercolano… il terremoto… il prossimo venturo inverno senza neve… ogni categoria troverà il suo diritto. Salvo quella madre. Ma lei è stata pagata. Carne tecnica in cambio di cartamoneta. Ma solo carne. Senza sangue. Eccolo dunque il patto di Shylok, il Mercante di Venezia. Non darà il suo sangue, sudandolo, questa ragazza, madre per affitto di ventre, alla crescita del figlio. Se ne occuperanno i due papà, 1&2, padri per via tecnica. Non coglie il mercimonio, nel grande affare della carne affittata con un app, il femminismo mondiale che ha rotto la frattaglia, ai pochi rimasti, con la panzana in loop sul rispetto del corpo della donna. Sulle pubblicità facili facili di coscia lunga senza un pelo superfluo. Anzi. Si esulta. E inconsapevolmente i più assistono ebbri come mangiatori di loto (Odissea) al lungo tramonto della civiltà occidentale, nata da physis e nomos, legge naturale e legge dell’uomo. Governa la tecnica. Il nuovo Titano. Vuole orfani. E orfani saranno.

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