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Dall'archivio:

Il Cavalletto, un racconto (a puntate) di Ivan D’Agostini

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

 

I lettori di Ticino Notizie conoscono molto bene Ivan D’Agostini e la sua perdurante, inesauribile vena di scrittore capace di visioni e seduzioni. Nel progetto di Ticino Notizie 3.0, del resto, Ivan D’Agostini è come uno champagne abbinato a degli scampi: perfetto.

Dopo Radici in Crescita, romanzo a puntate pubblicato la scorsa primavera, adesso Ivan ha deciso di proporre ai nostri lettori Il Cavalletto. Di cosa si tratti, lo spiega lui. Il Cavalletto tornerà, sempre dopo le 20, due o tre volte la settimana. Seguiteci..

Introduzione

Il Cavalletto è l’introduzione di una metafora che accompagnerà il lettore attraverso varie esperienze che ho provato e che vivo costantemente, in una località piccolissima collocata in mezzo ai boschi nelle colline della val Tidone.

Ho scelto questo nome e quest’oggetto perché sta accompagnando la mia vita da qualche tempo, che se non rischiassi di sembrare divinità, definirei immemorabile; al pari di quell’oggetto che sostiene in maniera decisa il nostro “desco” (altra metafora) ma al tempo stesso consente di transumare anche altrove quegli oggetti, noi, che qualcuno ha definito come caravelle nel vento, ci spostiamo di luogo in luogo con il nostro personale bagaglio che dovremmo essere sempre pronti a condividere. Ecco allora che il cavalletto assurge a quell’immagine di mobilità e al tempo stesso di stanzialità e affezione – anche ai luoghi-, che ci contraddistingue (pur non avendone l’esclusiva) in questo pianeta.

Dalla quotidianità e dalle azioni che, contrariamente a quelle vissute normalmente in città, nella “comodità” dell’urbanizzato, costantemente si rapportano con il luogo, cerco di tracciare una rete di metafore che come una filigrana avvolge ogni singola storia. E proprio ogni singola storia può essere letta come una sorta di “manuale” similmente al quel capolavoro di Jean d’Ormesson, quella Guida degli smarriti, che mi è capitato di leggere qualche giorno addietro e dove ogni storia vuol rappresentare un esempio per un  piccolo manualetto di vita.

 

Siamo troppo abituati a vivere in un territorio che ha perduto la sua “naturalità”, abbiamo antropizzato tutto, fiumi, sentieri, cielo, la terra sopra e la terra sotto, il mare, la campagna, persino il bosco sottraendolo all’originaria foresta. Ma lì, al Caselle di Sopra la natura reclama a ogni istante la sua forza, obbligando, tutti, nessuno escluso,  a fare i conti con lei, rispettandola anzitutto e se possibile cercando un dialogo che fonda i rapporti di vicinanza.

Talvolta alcune azioni paiono strane ma lì acquisiscono significato, valenza e la pazienza dell’osservare, privata da necessità che a volte ci paiono persino ambigue (da casa alla casa di campagna mi capita di incontrare l’ultimo semaforo a Borgonovo e poi per più di trenta chilometri la strada si snoda tra le pieghe delle colline che si alzano), spesso restituisce i suoi sperati frutti.

Osservare come si muovono le foglie nel vento di marzo, come s’increspa l’acqua nel secchio e l’immagine che dalla Luna su di essa si riflette, la cenere nell’orto, le cinciallegre sui rami spogli della robinia o la fiamma del fuoco nel camino o ancora il fumo del sigaro gustato all’aperto, anche di sera e anche quando fa freddo, ebbene tutto in quel luogo assume un particolare aroma mentale, un che che muove l’aria anche quando la stessa è ferma e quel senso di curiosità, secca e vorace che mi prende nel desiderio di indagare.

Allora traendo da lì, con le mie lunghe peregrinazioni nella molteplicità delle mie azioni, cerco di coinvolgere anche il lettore più distratto, descrivendo quelli che a prima vista potrebbero sembrare i compiti più banali.

La distrazione lascia il campo alla curiosità e in quell’aura magnifica del silenzio, che a volte può essere assordante, scopro risvolti e pieghi sino a prima irraggiungibili, nascosti e celati dal rumore troppo spesso fastidioso dell’inutilità . E’ come un diario senza sosta, dove ognuno, alla fine può aggiungere o togliere a suo piacimento, contento di aver ritrovato, nel fondo della tasca, quel vecchio foglietto smarrito. E saranno proprio quegli appunti, preziosi per ognuno di noi a tracciare le evidenziazioni di cui tutti abbiamo bisogno ogni giorno, sino all’ultima traccia del nostro esistere.

ivan d’agostini diciannovegennaioduemilaediciotto

 

Post scriptum: il mio modo di scrivere è caratterizzato da numerosi e, spesso forse inutili e noiosi incisi, è una mia abitudine che uso come rafforzativi di concetti e pensieri. Anche questa scrittura non si sottrae a questa mia becera abitudine, me ne scuso anzitempo, ma qui, per chi avrà la curiosità di proseguire nelle circonvoluzioni delle mie immaginazioni e riflessioni, gli incisi funzionano come appunti per la storia futura un: “che sappiate che riprenderemo quel discorso, quel concetto quell’articolo”, come se la storia contenesse centinaia di appunti e funzionasse come una grande biblioteca dove i racconti sono libercoli, all’interno dei quali sono appuntati gli specifici riferimenti e descrizioni dell’oggetto di quel dato momento. Alla fine della storia (e mi viene da pensare che se mai dovesse necessitare di una fine, essa sarà inesorabilmente tronca e sospesa nel vuoto della nostra comune fantasia), compiuta o indefinita, ci troveremo fra le mani, io quanto vuoi, una memoria, ma non statica e riflessiva, bensì dinamica e indagativa che potremo (è questo il mio vero intento) utilizzare come chiavistello per le nostre innumerevoli porte che a d ogni istante ci capita di aprire o chiudere.

Buona lettura

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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