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Dall'archivio:

Il Cavalletto, romanzo breve di Ivan D’Agostini- Il ping pong (ultimo paragrafo)

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La pallina viaggia, ora di qua ora di là, ping pong, sino a  che uno non commette un errore, così che il Ping o il Pong si interrompe. Per un attimo, solo per un attimo, poi riprende, ping-pong, ping- pong, ping- pong, ping … pong, sino alla consunzione. Sino alla prossima vincita, che è solo provvisoria, momentanea, istantanea e fulminea, palese o nascosta, truffata e sottratta al tempo, alla verità che non pagherà mai e che ad imparare non si guadagna nulla ma si conquista il tutto.

Gli sguardi s’incrociano, rapidi, è un attimo, il polso vira, vibra, si piega si storce, si contorce, sciabola una saetta di colpo che spinge la sfera oltre l’inimmaginabile, se così non fosse, il nostro avversario ci batterebbe, sempre, costantemente, e invece, ora è lui a soccombere alla nostra velocità. Velocità? No, la nostra è lentezza, estrema, suprema. Come potremo, del resto, pensare di battere un nostro avversario esclusivamente con la velocità.

La padronanza nasce dalla calma e la lentezza è calma, la velocità sparisce, si dissolve nel tempo e nelle circostanze, il tavolo sparisce come presenza ma si conforma alla necessità della velocità, il piano si allunga, si dilata, si deforma, ad accogliere le più varie necessità delle nostre molteplici incongruenze. Ora piega verso destra e ribalta la palla verso il centro del tavolo, poi, improvvisamente, senza che nessuno, tranne che noi, glielo abbia richiesto, ribalta la propria posizione a spingere la sfera da un’altra parte. Il tavolo vive, la palla vive, noi viviamo, essi tutti interi vivono.

Come sospinta da azioni interdipendenti dal nostro agire, la pallina da ping pong si dilegua, si dissolve nell’etere e nell’aria che prima ci aveva fatto respirare, vita e altro e ora, per molteplici cause, non è più in grado di assolvere la prima funzione: VITA.

Siamo sempre lì, in agone perenne, con il desiderio di conoscere nuove mosse, innovative prospettive e inconsueti colpi, da sferzare con forza, vibrando il polso, l’articolazione e il palmo che tiene quella minuscola racchetta, imprimendo non solo velocità ma anche slancio, direzione ed effetto, socchiudendo leggermente gli occhi per favorire la concentrazione, è come il tasto nero e bianco del pianoforte, non occorre vederlo bisogna sentirlo, il tavolo è lì, presente e vivo al tatto, anche a quello della mente.

Ivan D’Agostini

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