Nascita e organizzazione vanno a braccetto, non potrebbe essere altrimenti. La moltiplicazione delle nostre cellule, innescate da un tremendo atto di egoismo: il nostro piacere intimo e solitario (siamo, in fondo, tutti onanisti), avviene attraverso una procedura organizzativa che si innesca sul campo, e cioè durante la fase di moltiplicazione stessa. Mano a mano che la cosa si fa più spessa, per dirla con parole attuali, la piramide della crescita si complica, diviene complessa, sino al punto che abbiamo impiegato milioni di anni, per riuscire a dare una forma accettabile al tutto (pensare che questa possa essere la perfezione è pura utopia, ma sono sicuro che per ora sia accettabile) e, dunque anche l’Orto, nella sua organizzazione, crescita, mutazione e trasformazione, mi pare possa stare nella filosofia che ho tentato di accennare e di costruire.
Ma le cose, poi, caspita si complicano e divengono assai complesse, perché vi starete chiedendo: “Ma perché siamo complessi noi?”
La nostra forma di vita, sociale ed egoista al tempo stesso, prevede fasi di mutualità e di egocentrismo (anch’io mentre sto scrivendo, attraverso queste fasi: sono egocentrico, nel momento in cui scrivo per potermi rappresentare ed essere, mutuale, nel momento in cui cedo volentieri a voi queste mie riflessioni, senza nulla chiedere in cambio -a gratis, si direbbe,che restituisce bene il concetto).
Anche l’Orto non si sottrae a questa regola. L’Orto è una cornucopia, non per il danaro, vile e meschina merce di scambio delle nostre capacità, bensì per la ricchezza delle riflessioni, che esso sa profondere nei nostri animi. Allora, mi son chiesto, in questi lunghissimi anni: “Perché non socializzare le nostre fatiche, perché non collettivizzare le nostre passioni, desideri e bisogni (poiché spesso di tali si tratta)?”.
C’è un progetto che ho in testa da anni e che, per le piccolissime cose, sono riuscito, in parte a realizzare con Maurizio. Io ho una cosa che uso, sporadicamente, così come sporadicamente la mia cosa serve a te, e allora, quando capita, e davvero capita, tu vieni, la chiedi, ma non con l’aria supplichevole, non serve, la prendi, la usi e poi la riponi. Ad esempio capita con il tagliaerba, e con gli orti, direte e vi domanderete Voi?
La cosa è anche più intelligente: se ricordate, siamo partiti da un poker di case, di cui una fuori sacco, due coppie e una quinta carta: il cardo che divide, seziona, ma anche unisce e collega. Ogni zona ha la sua peculiarità: nel quadrante sud-ovest, il sole riscalda la terra da subito, buono per i fagiolini e le leguminose in genere(invento, scusate), e allora si seminano tanti fagioli e fagiolini, che raccoglieremo per l‘inverno,;nel quadrante sud-est il sole è cocente, buono per i pomodori, le cipolle, le zucchine, le carote e il sedano, e allora diamo via al trapianto di decine di piantine, così faremo una salsa con i fiocchi, cotta nel pentolone sul fuoco da Laila e dalla Piera.Più in basso, nel quadrato nord-ovest, la temperatura ancora accesa, farà sì che basilico, maggiorana, timo, origano e altre spezie diano il meglio di sè, a supporto della grande salsa di ferragosto. Infine, nell’ultimo quadrante, a nord-est, pronto a cogliere l’ultimo sole prima dell’inverno,avremo messo a dimora le verze per l’inverno, i cavoli, verdi e neri, le patate, l’aglio e tutte le varietà di cipolle, che raccoglieremo sul fare dell’autunno inoltrato, prima di lasciare a riposo tutti i terreni.
E’ un gioco per la comunità, per l’uomo che diventa compagno di se stesso, delle proprie passioni e necessità, senza diventare schiavo delle inutili voglie. Essere principi o re è una questione intima, non di censo o di eredità.
Ecco che l’Orto diventa veramente maiuscolo, importante, vero e necessario, non solo, anche se pure quello conta, per la produzione che, val la pena ricordarlo, non è mai immediata ma richiede tempo, dedizione e pazienza, ma, soprattutto, per le emozioni e impulsi che avrà innescato nel periodo intero: fatica e sudore di marzo,mentre fuori l’aria è ancora un po’ gelida e il vento spazza il capo e i capelli (pochi i miei) che troneggiano sul capo, fatica e gelo tra le dita, mentre si cerca di spezzare la crosta dura, appena increspata dalla prima brina novembrina, piuttosto che la postura che si assume nell’inverno nevoso, mentre si calpestano le prose distrutte e coperte dal manto di neve, guardando e scrutando l’orizzonte grigiastro sul fondo della pianura di fronte agli occhi. Un mondo, quello dell’Orto che vive e muta con noi e che, se riuscissimo a renderlo collettivo, potrebbe rompere il baluardo del nostro egoismo.
Io, nel mio piccolo, cerco di fare la mia parte, a volte in sordina, per non disturbare troppo l’intimità dei miei “cittadini”, accorgendomi che, troppo spesso, viviamo in silenzio quando, al contrario, dovremmo vociare, gridare e urlare al mondo le nostre gioie e le nostre amarezze.
Spesso, quando vango la mia aiuola (poiché tale in effetti è), canto, anche a squarciagola. La Lì mi chiede se sono matto, a volte esce spaventata dalla cucina e corre verso di me, mi guarda e si conferma le sue tesi. Allora io la guardo, le mando un sonoro bacio, le grido, anche piano, per non fare troppo rumore, il mio amore, e le dico che l’amo.
Mentre sale le scale, che ho costruito anni addietro per raggiungere e collegare comodamente i due prati, da dietro vedo la sua felicità. Io e lei, con i nostri due figli, i nostri amici, qualche parente e quelli che si aggiungeranno. Siamo, per ora, l’orto comune.
Ivan D’Agostini