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Il Cavalletto, romanzo breve di Ivan D’Agostini- Capitolo 6, Illusioni

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Ma c’è ne è sempre uno, che scegliamo per essere la fonte dei nostri irragionevoli perché.

A volte, sognando, penso che il Caselle rappresenti per noi, quindi, non solo per me, la nostra personale Fonte Meravigliosa[1], un’inesauribile sorgente di idee e tanto altro: è un’oasi  [2] , non convenzionale ( e lo dico da fortunato), non scelta, capitata, ma che, credo, abbiamo saputo cogliere, io e la Li, (carpe diem) in quel pomeriggio caldo di maggio del millenovecentottantasette.

Il Caselle dunque come salvadanaio della memoria; ognuno di noi ha il suo luogo per quello e questo, è il nostro, collettivo, famigliare, sociale, comune, parentale, sostanziale, essenziale, anonimo e personale sito dei patimenti inconfessati e inconfessabili, delle colpe, vergini e impossibili, o impenetrabili, da tenere dentro; di riserve da annullare.

Là dove anche la morte, seppure tremenda da accettare, resta comunque l’unica certezza ed essenziale condizione, azione che sfugge alle totali ipocrisie della nostra attività cosciente, velo continuo che ci consente di sopravvivere; altrimenti, inesorabilmente, se ne fossimo coscienti, ci impediremmo di continuare oltre il limite del respiro.

Capita che alla sera, in special modo d’estate, mi passi accanto una nuvola, incoerente e inconsistente. Ne sento il flato, debole ma essenziale, quasi elicoidale nel suo peregrinare attorno al corpo, il mio, che si fa scudo permeabile, tanto per accogliere il solo unguento, che dalla stessa trasuda. Il passato riemerge dalle ferite che la vita, quella di tutti, non ha lesinato a spargere, come seme da gettare nella terra feconda, nel nostro comune terreno, e non è un caso, se quel verbo ci racconta della polvere che, un giorno fummo stati e che poi saremo ancora, dopo un soffio di tempo passato a raccontare un po’ di noi agli altri.

E allora sto lì, mi verrebbe da dire, come i germogli al gelo, che alla primavera getteranno nuove foglie, perché credo nella resurrezione, non tanto della carne, quella chissà, ma dell’uomo e delle sue inesorabili colpe e peccati, ma credo persino che i patimenti dell’animo, troppo spesso necessari, per raccontarci come superare i perigli, abbiano a che fare con la quotidianità. Sto lì, a naufragare nelle mie personali elucubrazioni e fantasiose teorie del tutto, sui miei disegni, che dipingono città fantastiche e irreali tridimensionalità; sto lì, senza il niente che circonda il troppo e che, allora, mi pare sublime il pensare, di come annullare questo  nulla, ed è allora, che il Caselle e le sue anime immense prende e prendono vita.

E’ allora che compaiono tutti, anche quelli che gli occhi hanno sorvolato solo per qualche istante, pensando stoltamente, forse, che l’immagine capovolta non sia stata registrata nella mente. Non è così, il film della nostra esistenza se ne sta lì e alla bisogna riemerge. Là, dove i rumori della civiltà salgono un poco a fatica sul crinale coperto di verzura, che maschera la statale di sotto, quel piano inclinato della collina, che traccia una sezione increspata con le balze a spiovere, che cercano di nascondere il basso; quel nastro, che vedo lucente serpeggiare nelle giornate di pioggia dicembrina, quando manca la nebbia e il cielo è stranamente terso e trasparente e che, da lassù, appare piccina piccina. Quel tracciato, che ora, di notte, è punteggiato delle luci rosse degli stop e bianche dei fari, inutilmente abbaglianti.

[1] La fonte meravigliosa è un romanzo del 1943 di Ayn Rand, ispirato alla vita del celebre architetto Frank Lloyd Wright. È il primo successo letterario con cui la scrittrice ha raggiunto fama e successo finanziario. Sinossi:1924. Il giovane Howard Roark – modi bruschi, vestiti logori, capelli spettinati e grande creatività  è stato appena espulso dalla Scuola di Architettura dell’Istituto di Tecnologia di Stanton, proprio alla vigilia della laurea. Il motivo? Si rifiuta di disegnare le ville in stile rinascimentale che i suoi professori vogliono da lui, non vuole adeguarsi al modello neoclassico, anzi propugna il ricorso a linee moderne, tecnologiche, ardite. Un po’ come faceva Henry Cameron, un genio dell’Architettura moderna ora finito in disgrazia, il suo idolo. Invece Peter Keating, compagno di corso di Roark, suo amico eppure suo opposto con la sua aria perfettina, la sua furba capacità di adeguarsi al senso comune, la sua spregiudicata ambizione e la sua sudditanza nei confronti della madre, ha già deciso che dopo la laurea entrerà nello studio del professor Francon, architetto di grande successo in quel di New York, e la cosa puntualmente avviene. Mentre la carriera di Keating parte alla grande, Roark si reca nello studio di Henry Cameron e prova a convincerlo a dargli un lavoro..

La fonte meravigliosa ha una storia editoriale molto particolare: scritto da Ayn Rand – al secolo Alissa Zinovievna Rosenbaum, originaria di San Pietroburgo – nel 1943, Vero e proprio romanzo filosofico, quello della Rand è un inno all’individualismo creativo ,concepito come unica forza motrice della società umana e considerato oppresso, ‘castrato’ dalla tendenze collettiviste o socialiste. Ma più che di politica si parla dell’animo umano: di indipendenza, anticonformismo, capacità di rompere con le convenzioni e il quieto vivere o viceversa, del bisogno di adeguarsi alla maggioranza, di seguire la corrente, di chinare il capo. Cosa che Howard Roark, il vulcanico e burbero protagonista, la cui figura pare sia stata ispirata da quella di Frank Lloyd Wright, non fa mai, accettando le conseguenze delle sue azioni e lo stigma del gregge con coraggio incrollabile e determinazione feroce. Secondo l’autrice, il concetto di ‘massa’, non solo va rifiutato, ma è ingannevole: le ‘masse’ non esistono, l’umanità è composta da miliardi di singoli individui/individualisti. Una pietra miliare del pensiero liberale e liberista.

 

[2] Quasi un distacco dalle contingenze della vita, pur nella coscienza della loro esistenza e rispetto.

Ivan D’Agostini

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