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Dall'archivio:

Il Cavalletto, romanzo breve di Ivan D’Agostini- Capitolo 5, ‘Giorgio’

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

 

Apparentemente questa storia sembrerebbe non centrare nulla nè con il Caselle men che meno con il Cavalletto, radice di tutti i racconti che ci hanno accompagnato sino a qui.

In realtà, se non ci fosse stato il Caselle e il Cavalletto, con tutte le storie e vicende che attorno ad esso hanno imperniato la loro essenza, anche Giorgio, i suoi avvenimenti e la sua bellissima vita, non avrei potuto raccontarle qui a Voi (e soprattutto a me stesso, per tutto ciò che devo a questa meravigliosa persona).

Ma cominciamo a chiarire.

Una mattina del 1988, credo fosse maggio, mentre la casa non era ancora abitata, nel senso che non avevamo ancora preso possesso dell’interno, cioè non avevamo passato lì almeno una notte e mentre mi apprestavo a scaricare dal furgone con il quale Dario (un cliente molto generoso), mi aveva portato gli essenziali arredi che avevamo acquistato,  ecco che mi sento chiamare:

“Architetto, architetto Ivan…”

“Sì sono qui, chi mi vuole?”

“Buongiorno sono Giorgio, un tuo collega …”

“Ciao dimmi …” Di fronte a  me stava una persona alta, decisamente un bell’uomo, capelli biondo-castani, abbastanza lunghi, un viso affilato, un naso importante, uno di quelli che piscia in bocca, e due labbra con un sorriso stampato. Facciamo subito amicizia, mi spiega che si sta occupando di un progetto per la ristrutturazione e recupero di un rustico che si trova poco distante dal Caselle (chissà perché non ho pensato neppure lontanamente che mi stava sottraendo una possibilità di lavoro), e i suoi committenti, una coppia di milanesi pseudo ricchi, hanno già scelto a cui affidare i lavori. Scopro, così, che si tratta del buon Giuseppe e la sua “impresa”[1] -i fratelli, il nonno e i figli- e vuole qualche rassicurazione sulla bontà della scelta, “Sai non vorrei trovarmi di fronte ad uno di quelli cui deve fare da balia, dalla mattina alla sera, perché non sanno leggere i disegni, perché io sono abituato a farne tanti prima di appaltare i lavori.” Come lo capisco, anch’io sono(uso a) solito a fare così; disegnare, pensare e riflettere sulla questione che andremo ad affrontare dopo, con calce, mattoni e altro, aiuta a capire e risolvere le inevitabili criticità, che si potranno porre dinnanzi alla nostra opera.

In breve lo conduco per un breve giro della casa, illustrandogli le caratteristiche delle prestazioni del Giuseppe&C e delle abilità e pure delle, lacunose per la verità, labilità dell’uomo.

 

 

 

Si convince quindi della maestria del Peppo (come avevo iniziato a chiamarlo io) e, con una pacca sulle spalle mi sorride e si congeda, non prima di avermi lasciato in mano un cartoncino con il suo numero di telefono.

Da allora non ci siamo più persi di vista.

Non conto più le cene, io da lui e lui da me. Un poco lo invidiavo, ha una moglie bellissima che, a volte, poteva sembrare frivola, sebbene non lo fosse affatto.

Sempre allegro Giorgio (i suoi figli sono amici dei miei).

La vita sembra avergli dato tutto, tutto sino a che un giorno, tutto, è precipitato.

E’ successo che, imbarcatosi in una grossa commessa “E’ l’incarico più grosso della mia vita caro mio.”, per una serie di sfortunate coincidenze, non è stato pagato, ma quel che è peggio è che sulla scorta di quelle certezze (perché nella vita a volte occorre che si abbiano alcune certezze e non sempre necessariamente di ordine concettuale: e ché diamine la panza va riempita! ) Giorgio si era avventurato nell’acquisto – finalmente diceva lui – di una casa tutta per lui, per la moglie bellissima, per i figli deliziosi e per il loro piccolo zoo (due gatti, un cane, alcuni pesci e tre tartarughe, di quelle d’acqua).

[1]Citato nel capitolo 1

Ivan D’Agostini

 

 

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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