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Dall'archivio:

II – La compagnia degli espatriati: ‘assalito dall’alopecia’

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

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TURBIGO – In questi mesi, la morte di uno dei ‘colleghi’ del tempo che fu (un altro se n’era già andato qualche anno fa) mi ha ricordato un impegno assunto quarant’anni fa e conservato nel mondo impalpabile della memoria. Allora, quattro tecnici (in seguito ne arrivarono altri due, tra cui uno di Castano Primo) erano stati inviati dall’Enel in Marocco (Mohammedia, vicino a Casablanca) per avviare una centrale termoelettrica costruita con macchinari italiani (Franco Tosi, Ansaldo, ecc.). Si trattò di un’esperienza umana forte – l’incontro con una diversa cultura – che promisi allora di raccontare, ma non ho mai avuto il tempo di farlo. Ora, a tarda età, non essendo ancora del tutto rincoglionito, mi accingo a farlo a puntate, sperando di avere la voglia di arrivare fino alla fine.

Giugno 1980 – All’arrivo in cantiere a Mohammedia, con la mia Fiat 128 coupé ‘pisello’, trovai Danguir che mi accompagnò al mio alloggio. Era un palazzo nuovo, posto davanti ad un grande mulino, Scaricai l’auto con l’aiuto di alcune donne marocchine che uscirono dal nulla e che poi trovai rannicchiate negli angoli freschi del mio appartamento. Probabilmente cercavano un impiego, ma non chiesi nulla.
La domenica successiva arrivò, con il volo Milano-Casablanca della Royal Air Maroc, la moglie (d’ora in poi la indicherò con B.) con le due figlie, una di sei anni e l’altra di tre. B. rimase sconvolta dall’ambiente che vide: figure incappucciate agli angoli delle strade, sporcizia dappertutto. Rimase due giorni a letto a piangere, convinta di essere finita all’inferno. Dovetti chiedere aiuto a una signora italiana, in modo da darle un po’ di conforto, in quanto mi telefonava continuamente sul lavoro e non avevo la possibilità di risponderle. L’essere umano si abitua a tutto e nel giro di una settimana si trovò un equilibrio che ci permise di andare avanti.
Una serie di problemi riguardavano l’inizio dei corsi di formazione al personale marocchino. Feci parecchie riunioni a Casablanca (ero l’unico del gruppo in cantiere, gli altri colleghi sarebbero arrivati qualche mese dopo) con i vertici dell’Office Nationale de l’Electricitè (d’ora in poi ONE) e trovai di buon gusto vedere il mio nome accanto alla sigla ‘Enel’ e al tricolore in corrispondenza del posto a sedere.
A metà settembre arrivarono gli altri tre colleghi della manutenzione elettrica, di strumentazione e d’esercizio (io ero della manutenzione meccanica). Essendo tutti allo stesso livello, ma con diverse specializzazioni, non era chiaro chi dovesse svolgere funzioni di coordinamento e questo riflesso, mai risolto, accompagnò tutto il tempo della missione durato un paio d’anni.
INIZIO DEI CORSI – Il lavoro risultava particolarmente impegnativo e tutte le energie si scaricavano nella preparazione e nello svolgimento dei corsi. Si tenevano tre ore di lezioni teoriche al mattino che introducevano le due ore di pratica al pomeriggio, andando sull’impianto a visionare il montaggio delle macchine. Parlare tre ore in francese (tecnico) di una centrale della quale si conosceva poco (anche se le macchine erano italiane e presenti nelle centrali da cui provenivamo), era molto impegnativo per tutti. Ognuno cercava di stare in piedi come poteva, e ‘stare in piedi’ voleva dire avere dai marocchini (ingegneri e diplomati) l’attenzione necessaria per interessarli, in modo che apprendessero le nozioni tecniche che cercavamo di trasmettere e che sarebbero state loro utili in seguito, quando avrebbero dovuto gestire la centrale. Anche perché, ogni sabato, arrivava un ispettore a firmare il lavoro svolto durante la settimana, verificando direttamente il grado di apprendimento dei corsisti e se non firmava il rapporto, la settimana andava ripetuta e non sarebbe stata pagata!
Ogni membro del gruppo scelse un modus vivendi. Qualcuno richiese l’interprete, altri – come chi scrive – cercò di fare tutto da solo, ma il surmenage conseguente, lo stress mi provocarono una forma di alopecia sul viso (praticamente scompariva la barba e il viso diventava liscio come quello di un bambino!). Un parrucchiere marocchino mi consigliò di curarla tagliuzzando la zona interessata e strofinandovi sopra dell’aglio, ma risolsi il problema con una serie di punture di idrocortisone, iniettato localmente da un medico libanese, con l’aggiunta di vitamine.
Ognuno di noi (eravamo tre famiglie e un single) si era trovato una ‘bonne’ per aiutare le rispettive mogli nei lavori di casa. La nostra era vecchia e sgraziata (cieca da un occhio), ma quella di un collega era giovane e attraente e queste caratteristiche crearono un ulteriore problema che racconteremo nella terza puntata.
2 – continua

FOTO Mohammedia (Maroc) – Un tecnico dell’Enel su un serbatoio di olio combustibile, necessario al funzionamento della centrale termoelettrica in costruzione da parte di maestranze italiane

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