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Heimatlosigkeit, ovvero, l’essere senza patria. Di Emanuele Torreggiani

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Londra, East End, 1900. Miseria nera, alcolismo, prostituzione minorile, crimine indifferenziato, lavoro sottopagato, schiavitù di ritorno, miseria, malattia, morte liberatoria. Oscar Wilde ne scriverà per brevi squarci esistenziali ne ‘La ballata dal carcere di Reading’, ma chi ne scriverà uno dei suoi capolavori è Jack London nel primo romanzo verità del ‘900, una true fiction che anticipa di oltre mezzo secolo lo splendido ‘A sangue freddo’ di Truman Capote.

Si intitola ‘Il popolo degli abissi’ il racconto dell’autore mondiale de ‘Il richiamo della foresta’ e di ‘Zanna bianca’. Andrebbe riletto oggi, per le simmetrie che collimano al tema della globalizzazione e dell’immigrazione sregolata. Lo scrittore americano propone una cronaca sul campo vivendo per mesi nel popolare quartiere londinese applicandosi, per pochi penny l’ora, ai lavori più umili e più faticosi, abitando in stamberghe umide, lerce, ed in costante competizione con chi è disposto a lavorare, sette giorni su sette, ancora a meno pur di raffazzonare un pezzo di pane giornaliero. Ed ovviamente, come numi tutelari del degrado, una classe alto borghese, coinvolta nello sfruttamento ed, ovviamente, indifferente alla condizione del popolo minuto. Ricchi finanzieri che, dall’alto dei loro interessi nazional-internazionali, non mostrano alcun interesse per quanto avviene nella loro terra natale.

Essi sono la forma compiuta, per dirla con Martin Heidegger, dell’Heimatlosigkeit: l’essere senza patria. La cui unica gestalt, cioè forma, è quella del conio, leggasi danaro, indifferente da come e dove esso provenga. Quindi ricco, poliglotta, dall’alto dei suoi palazzi ben riscaldati e delle sue camicie ricamate e preziosi monili, dei suoi viaggi intercontinentali a bordo di transatlantici in prima classe, accusa i poveri, la classe di mezzo e la classe lavoratrice e la classe misera di essere razzista, ignorante e xenofoba, violenta e truce.

L’Heimatlosigkeit se ne infischia di quello che accade nella sua terra, egli non si riconosce nella terra infatti possiede il passaporto internazionale del danaro e si dichiara, nominalmente, cittadino del mondo. Formula tanto affascinate, per le anime belle, quanto vuota di significato. L’essere senza patria professa un internazionalismo astratto, estraneo ad ogni cognizione di classe, quindi estraneo ad ogni volontà di crescita umana. Ogni tanto ripensare a Carlo Marx aiuta. Se qualcuno vorrà mai leggere ‘Il popolo degli abissi’, sostituisca l’East End, con Milano Rogoredo, i reclutatori con i caporali, il 1900 con la nostra attualità. Ecco, ‘Il popolo degli abissi’ è quello che è andato a votare alle politiche di marzo.

(Pregasi astenersi grafomani, E.T.)

 

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