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Hasta el medico cubano.. Siempre! Di Teo Parini

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È successo davvero, almeno stando a ciò che abbiamo potuto udire. L’assessore al welfare della regione Lombardia, Giulio Gallera, nella serata di sabato ha annunciato che, in virtù del decreto di recente firma che eccezionalmente consente l’assunzione di personale estero derogando dal principio di equipollenza tra i titoli di studio nei vari stati, sono in arrivo a dare manforte dottori dalla Cuba Rivoluzionaria, dalla Repubblica Bolivariana del Venezuela e dalla Repubblica Popolare Cinese. Per la verità i cinesi, quelli sporchi, brutti e cattivi che secondo il governatore Luca Zaia mangiano i topi, sono già all’opera, forti della consapevolezza di chi il virus l’ha già afferrato per le corna, sconfiggendolo.

La notizia, sebbene ancora da verificare in quanto alla modalità di attuazione, avremo tempo e modo, è in ogni caso significativa, nonostante la successiva capriola di Gallera che ha poi tenuto a precisare alle agenzie di stampa che nessuna collaborazione con il governo legittimo di Maduro, a Caracas, sia stata attivata. Sarà. Resta il fatto che la sanità lombarda che si autodefinisce eccellenza mondiale, e salvo eccezioni certamente lo è, chieda quindi aiuto – ottenendolo – allo spaccato di mondo “canaglia” che l’Occidente unipolare detesta, denigra e poi sferza a colpi di embarghi e sanzioni. Alzi dunque la mano chi, solo un paio di settimane fa, avrebbe ritenuto possibile un siffatto scenario.
Il Coronavirus, oltre che aver messo a nudo le malefatte italiane di un trentennio di globalizzazione capitalistica in termini di sanità, settantamila posti letti in meno nei nosocomi e una quarantina di miliardi di euro tagliati solo nell’ultima decade dai successori di una sempre più rimpianta Prima Repubblica, ha spalancato finestre impensabili. Portoni. Dall’elogio del pubblico firmato Mario Monti, un po’ come se Rocco Siffredi cominciasse all’improvviso a predicare verginità, ai toni addirittura piccati del Presidente Mattarella nei confronti della signora Lagarde, Sua Maestà lo spread, fino, appunto, alla Lombardia che fu di Formigoni costretta a rivolgersi all’avamposto socialista sul pianeta Terra, mandando in un amen gambe all’aria un castello di carta eretto solo su menzogne. Manca la sola Repubblica Popolare Democratica di Corea all’appello e abbiamo fatto all-in. Si scherza, ma mica tanto.
L’emisfero del danaro, di cui l’Italia assai poco sovrana è più vassalla che alleata, si è reso protagonista, dalla fine della Guerra Fredda, delle peggiori politiche discriminatorie nei confronti di questi Paesi, archetipi luminescenti, pur tra mille difficoltà, di società internazionaliste incentrate sull’uomo anziché sul profitto. Ha così votato risoluzioni che ne hanno minato l’indipendenza, l’economia e l’onore, ha sostenuto i peggiori criminali messi alla testa di governi fantoccio utili solo a soddisfare i propri desiderata imperialistici, ha portato guerra e morte nelle loro case, scagliando bombe o instillando malattie, ha imposto una rete mainstream servile che potesse fungere nel mondo da cassa di risonanza per ogni sorta di falsità mistificatoria finalizzata a demonizzarne gli eroi del popolo, artefici imperituri dell’odierna emancipazione. Ma ora, con la coda tra le gambe, è proprio a loro che l’Italia, per voce della sua regione dalle maggiori disponibilità, chiede aiuto. Perché i nostri “amici”, quelli che consideriamo tali, si sono voltati dall’altra parte, quando non ci hanno pugnalato alla schiena. E se da lassù dove tutto ha un peso, von der Leyen fa seguito all’affondo della Lagarde, che ha polverizzato la Borsa, con un apparentemente conciliante “per l’Italia massimo margine di manovra” è solo perché Angela Merkel, nel mentre, ha ammesso pubblicamente i suoi timori per l’espansione del contagio in una Germania che vanta comunque una disponibilità di terapia intensiva cinque volte superiore rispetto all’Italia. Insomma, ci detestano e non vedono l’ora di liquidarci a colpi di MES. E mentre gli ospedali lombardi scoppiano, l’assessore al welfare rivolge lo sguardo a Cuba, per una volta non più la feroce dittatura della narrazione politicamente corrotta che abbiamo imparato a conoscere. Da canaglia a risorsa il passo è breve, potere di un virus.
E sempre a proposito di Cuba, popolo che i valori di solidarietà, amicizia e internazionalismo li ha tatuati sul petto, nel momento in cui scriviamo vanta 28268 dottori, divisi in 61 brigate, sparsi per il mondo, come ci conferma il direttore della Unità Centrale di Collaborazione Medica. Mentre gli Stati Uniti inviano nel Vecchio continente un contingente militare a difesa non si sa bene da chi, a parte i loro affari, l’isola ribelle mette al servizio dei più bisognosi un numero equivalente di medici altamente specializzati, figli della tradizione cubana e di quell’eccellenza sanitaria, gratuita e per tutti, per la quale Fidel Castro si è adoperato una vita intera. L’emergenza Coronavirus sta dunque impegnando questi uomini in scenari difficili a priori quali Haiti, Algeria, Guatemala, Sudafrica, Qatar, Cina, Kuwait e, se confermato, a breve anche in Italia. Significativa – excursus storico – la presenza, ancora oggi, proprio in quell’Algeria dove tutto ebbe inizio. Il 17 ottobre 1962 a soli cinque giorni dalla crisi d’Ottobre, Castro, venuto a conoscenza dal Presidente nonché amico Ahmed Ben Bella della situazione sanitaria disperata a causa di in secolo e più di dominio coloniale, si precipitò in suo soccorso. Sette mesi più tardi partì quindi alla volta di Algeri la prima storica missione cubana di aiuti internazionali: 28 medici, 3 dentisti, 15 infermieri e 8 tecnici. Nasceva in quel momento la feconda partecipazione attiva alle debolezze del Terzo Mondo che tutt’ora unicizza il governo di Diaz-Canel, quasi sessant’anni di dedizione al servizio dei più deboli senza la pretesa di nulla in cambio.
Per tornare all’attualità più stringente, quindi la pandemia, è ancora una volta da Cuba che si leva una speranza concreta. I responsabili dell’Avana hanno fatto recapitare al Ministro della salute Roberto Speranza un’offerta di fornitura, e relativo know how, di un farmaco sviluppato e prodotto dagli scienziati cubani, tale Interferon Alfa 2B. Un farmaco, appunto, non un vaccino, come meglio precisa Eduardo Martinez, presidente del gruppo industriale statale BioCubaFarma, ma già impiegato con brillanti risultati per contrastare i sintomi talvolta letali in Cina nel periodo di maggiore diffusione del contagio da Covid-19. La salute non ha confini se non quelli eretti dai governi del capitale, che garantiscono l’effimero in assenza del necessario. Non Cuba, dove il principio per il quale a ognuno secondo le sue capacita e a ognuno secondo i suoi bisogni assume la fattezza di una legge morale.
In un mondo globalmente più equo non ci si dovrebbe vergognare di chiedere un aiuto e ciò vale anche per la talvolta spocchiosa Lombardia. Bene ha fatto dunque Gallera, nonostante lo scivolone, per chi scrive evitabile, dell’attacco frontale al Venezuela Bolivariano, già fiaccato da un lustro di soprusi occidentali e al solito etichettato come regime in un momento in cui la diatriba politica sarebbe auspicabile cedesse il passo alla solidarietà internazionale. Sul piatto della bilancia c’è il bene più prezioso: la vita.
Morale della favola, quando il maledetto virus lascerà il posto alle macerie abbiamo tutti il dovere di ricordarci chi, nell’ora più buia, ci è stato amico e chi invece no. Chi ci ha negato mascherine, chi ha tentato di liquidarci come la Grecia e chi, invece, ha risposto presente.
Teo Parini

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