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Dall'archivio:

Gli 80 anni (e la presentissima assenza) di Fabrizio De Andrè

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Nato a Genova il 18 febbraio 1940, oggi Fabrizio De Andrè avrebbe compiuto 80 anni.

E hanno ragione quelli di Rolling Stone, che si chiedono  “dov’è Fabrizio De André ora che ne abbiamo bisogno? Mancano la sua scrittura precisa e tagliente, il suo modo di soppesare le parole, il suo sguardo lucido sulle cose. Se non fosse morto nel gennaio 1999 oggi compirebbe 80 anni. Chissà che cosa avrebbe scritto di questi anni disgraziati, del caos in cui viviamo, di chi oggi porta un “suo marchio speciale di speciale disperazione”.

Mentre la canzone italiana s’ispirava alla sintesi tipica del linguaggio pubblicitario, assorbiva i suoni del pop elettronico e seguiva l’aspirazione di parlare a un pubblico sempre più vasto, lui pubblicava un disco in una lingua incomprensibile e suonato con oud, zarb, saz, bouzouki, shannaj, continua la rivista musicale.

E parla, a ragione eccome se a ragione, di Creuza de Ma, che in piena epoca di riflusso pre globalista riporta al centro (come disse in un concerto nella sua amata Sardegna) ‘le culture etniche’. Creuza de Ma, che David Byrne- un altro appartenente alla ristrettissima cerchia dei geni assoluti- definisce uno dei dischi più fondamentali degli anni Ottanta.

“De André non temeva di sparire anche per anni, non era guidato dall’imperativo di occupare lo spazio mediatico sempre e comunque. Ma sapevi che c’era e che prima o poi avrebbe pubblicato un disco, probabilmente un concept frutto della sua immaginazione, del suo talento nel combinare uomini e idee, della capacità di assorbire e rielaborare e, certo, rubare suoni e stili, musiche e parole.

In questo mondo di musiche deprezzate fa specie pensare al modo in cui De André calibrava ogni suono, ogni frase, ogni concetto.  Le sue, di canzoni, esigevano attenzione. Non che fossero sempre terribilmente serie. Al contrario, De André sapeva essere divertente e velenoso, ma con una sola frase riusciva a descrivere un mondo e tu restavi lì a bocca aperta a chiederti come gli era venuta. Contava il modo in cui scandiva le parole, allungava le vocali, sottolineava le consonanti, porgeva le parole. A pensare alla musica in cui viviamo immersi, sembra un gigante che parla una lingua aliena

Tiziana Rivale con i genitori, De Andre’, Vasco Rossi e Dori Ghezzi. Sanremo 1983

 

Lui borghese, che quando lo diceva in concerto i compagni fischiavano, lui nottambulo incazzato “mediamente colto, sensibile alle vistose infamie di classe”, lui “forte bevitore, vagheggiatore di ogni miglioramento sociale”, lui “amico delle bagasce” non si è mai tirato indietro quando si è trattato di raccontare il mondo. Può darsi che pensare a come avrebbe descritto il 2020, all’età di 80 anni poi, sia un esercizio impossibile e inutile. Eppure viene da chiederlo: cosa avrebbe detto di questa Italia, di questi italiani?”.

Si, in questo pezzo di Rolling Stone abbiamo trovato una lunga serie di disarmanti verità.

Un’amica ci ha spedito ieri una versione di ‘Amore che vieni amore che vai’ di Diodato, vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo: potente, sulfurea, aggraziata. Ve la proponiamo. Assieme alle parole che Fabrizio dedicò a Dori Ghezzi, che ne identificano alla perfezione (secondo noi) parabola umana ed artistica.

A buon rivederci, Faber 

 

Dori e io non ci siamo conosciuti da ragazzini. Avevamo già due personalità ben definite che fortunatamente ancora conserviamo: in questo senso ci siamo modificati solo quel tanto che basta. Abbiamo imparato ad accettare e rispettare le reciproche manie e insofferenze.

Mi fido solo di lei, in ogni senso. Mi ha conosciuto che ero uno sbandato, e senza prediche, senza imposizioni mi ha cambiato. Per lei provo ammirazione, riconoscenza. E un amore infinito.
(Fabrizio De André)
https://www.youtube.com/watch?v=7xwer82erfg

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