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Giuliano Ferrara: “Luigi Amicone, una vicenda impastata di umanità e movimento”

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Pubblichiamo quanto scritto da Giuliano Ferrara in memoria di Luigi Amicone, il giornalista e pensatore cattolico morto a 65 anni

La sua vita è stata una faccenda di movimento e umanità

«Esagerazione e affetto fraterno erano incastonati nel nome di Luigi Amicone, morto a tradimento nel rigoglio dei sessant’anni», ha scritto questa mattina sul Foglio Giuliano Ferrara ricordando il fondatore ed ex direttore di Tempi, con cui l’Elefantino ha collaborato fin dal primo numero e sul cui giornale Amicone ha scritto per tanti anni.

Sembrava da sempre un bambino
«Che poi Gigi sembrava a tutti e da sempre un bambino, lascia sei figli accuditi come cuccioli e una moglie amata ma sembrava lui stesso suo figlio. La sua storia di giornalista, di polemista, di politico un po’ per scelta un po’ per caso, di predicatore ciellino senza boria e senza moralismo, di figlioccio di don Giussani, di avanguardista operaio prima e splendido militante cattolico dopo, tutta la sua storia è come il suo perenne movimento, come le sue letture, come le sue lettere e articoli, una faccenda di movimento e umanità. Ma forse pensando a lui umanità è parola specista. Amicone per chi lo ha conosciuto, questo milanese purissimo figlio di immigrati abruzzesi, metteva nell’umanità del sorriso perenne molta animalità, molta natura generica, il gusto di correre e di essere dovunque, un’affabulazione qualche volta sgangherata e spesso di generosa eloquenza, e specificamente umani erano solo la fede, il dolore, l’amicale dedizione al suo Dio che era la chiesa, la tradizione, gli animali di città, il futuro e ogni possibilità appunto umana».
Tempi, terremoto continuo come lui
«Le persone attive, fedeli, devote e libere non sono molte, era una di queste persone, uno di quelli speciali che possono ingannarsi ma non ingannano mai. Lo sanno i lettori della rivista “Il Sabato”, folgorante esperienza di politicizzazione di un progetto teatrale e mondano di santità, quelli del foglio chiamato “Tempi”, un tentativo mai assestato, terremoto continuo come il suo fondatore, di far vivere qualcosa che forse non c’era più, e del Foglio che era il suo terreno di caccia e il suo vaso di desiderio pubblicistico e di successo, l’unico suo culo al caldo pieno di amici e di laicismi più o meno cattolici. Giussani prediligeva quell’intemperante, dilige et fac quod vis. Lui se ne sentiva figlio e interprete autentico, genuino, privo di spocchia, entusiasta.
Ché l’entusiasmo, censurato dagli aristocratici di ogni tempo come un sentimento morale inferiore, era la cifra vera di riferimento della lotteria di Amicone, il suo modo folleggiante di iscriversi al registro della vita. Era lo charme di un omaccione alto e forte che solo la catena infame della malattia, con la sua sofferenza prolungata e il suo colpo di grazia, è riuscita a fermare in una notte dalle parti manzoniane di Monza”».
da Tempi, 19 ottobre 2021

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