― pubblicità ―

Dall'archivio:

Geopolitica (e dintorni). Capire la Turchia oggi

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

A quasi cent’anni dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano, il dodicesimo presidente della Repubblica turca,Recep Tayyip Erdogan leader massimo dell’AKP (letteralmente “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo”) e al potere dal 2003, fonda il proprio consenso su un’ideologia islamico-conservatrice, mossa da ideali panislamisti eneo-ottomani, con l’obiettivo di riunire le popolazioni turcofone sotto la stessa bandiera e portare la Turchia ad una posizione di primo piano nell’area mediorientale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La posizione internazionale e gli obiettivi geopolitici di Ankara

Definita il fianco est della NATO, alleato strategico per contenere l’espansione russa in Medioriente, non è un caso che la Turchia sia la seconda forza armata dell’Alleanza atlantica dopo gli USA.

Primo obiettivo, sia interno che esterno, è la risoluzione della questione curda, minoranza che rappresenta il 10% circa della popolazione turca ed evidente moto d’instabilità.

Ma il progetto panturco pone sfide ben più grandi, a Gennaio 2016 il re Abdallah di Giordania a Washington dichiarò, davanti a senatori statunitensi e giornalisti internazionali che Ankara vuole una soluzione “islamista e radicale” per tutta la regione mediorientale.

La Turchia infatti è stata la maggiore fornitrice d’armi all’ISIS  e il Tesoro turco dal 2011, anno d’inizio delle ostilità in Siria, ha finanziato in maniera più o meno lecita alcune organizzazioni riconducibili al Daesh, per poi intervenire nel quadrante siriano e occuparne militarmente un’area più vasta possibile. Il progetto turco è quindi chiaro: destabilizzare e islamizzare la zona che va dalle coste libanesi al Caucaso per proiettarne la propria influenza prima che vi riescano Iran o Arabia Saudita.

Le crepe all’interno del “Palazzo Bianco”

Il potere di Erdogan non è però così stabile come sembra. Ne sono una prova il tentato golpe del luglio 2016, definito dagli osservatori internazionali una prova generale in vista di un futuro definitivo scacco matto al “sultano”.

A questa delicata situazione si è aggiunta la speculazione, mossa dai grandi gruppi finanziari occidentali (soprattutto americani), sulla Lira turca che ha creato un forte indebolimento dell’economia e una conseguente crescita della disoccupazione. Alla crisi si è aggiunta l’inflazione che ha indebolito la classe media, vero e proprio bacino di voti del presidente.

La situazione internazionale si è anch’essa evoluta in maniera sfavorevole con la definitiva sconfitta dell’ISIS che, unita al ritiro delle truppe USA, ha ridimensionato i piani di Ankara e aumentato l’influenza di Mosca nella zona.

Ad Erdogan inizia a mancare la terra sotto i piedi. Ne sono una prova le recenti elezioni locali del 31 marzo scorso: l’AKP ha subito dure sconfitte elettorali in molte importanti città e soprattutto a Istanbul, la roccaforte politica da dove è iniziata la scalata al potere dell’attuale presidente turco.

Il rapporto con l’Europa

I primi passi d’avvicinamento tra le parti iniziarono nel 1963, quando venne stipulato l’Accordo di Ankara tra l’allora Comunità economica europea e la Repubblica di Turchia, volto a facilitare le relazioni economiche e commerciali.

Nel 2005 il governo guidato da Erdogan e l’Unione Europea iniziarono i negoziati per l’ingresso del Paese turco nell’Unione.

Ad allontanare il l’opinione pubblica europea e Bruxelles sono proprio la scarsa libertà di stampa, la mancanza di rispetto dei diritti umani, la persecuzione del popolo curdo e il negazionismo verso il genocidio degli armeni e dei cristiano assiri. A tutto ciò si somma la questione di Cipro, Paese membro dell’UE. D’altro canto l’Unione ha stanziato alla Turchia circa 1,5 miliardi di euro per portare avanti riforme “democratiche” e altri 3 miliardi per gestire il flusso migratorio scatenato dalla guerra siriana.

Bisogna comunque riflettere sull’impatto che avrebbe l’adesione di Ankara all’UE: la comunità musulmana europea passerebbe dal 5% attuale a circa il 20%, la Turchia diverrebbe lo Stato più esteso e più popoloso dell’Unione. Detto ciò è facile capire come un suo ingresso renderebbe ancora più difficile, se non impossibile, il percorso di integrazione politica e sociale in corso mettendo a repentaglio la vita stessa dell’Unione Europea.

 

Matteo Grassi

 

 

 

 

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi