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Dall'archivio:

Geopolitica della Jihad

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Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Il termine “Jihad” tradotto dall’arabo porta con se diversi significati, dalla lotta spirituale interiore all’identificarsi con la “guerra santa”, ovvero la guerra condotta “per la causa di Dio”, che mira a espandere l’islam al di fuori dei propri confini.

La Jihad però non riguarda soltanto la guerra contro gli infedeli d’occidente, ma è un fenomeno mondiale e ne sono la prova i numerosi attacchi che avvengono in Nigeria da parte delle truppe di BokoHaram contro la popolazione cattolica e in altre parti del Continente nero, nelle Filippine dove vi è una forte ostilità verso la popolazione cristiana e in ultimo gli attentati in Sri Lanka della domenica di Pasqua.

 

Le peculiarità della “guerra santa”

Non essendoci un vero e proprio Stato islamico, inteso come organizzazione nazionale con delle istituzioni a capo di un territorio ben definito, la Jihad è riuscita a mettere in difficoltà gli Stati occidentali,i quali si sono trovati a dover affrontare un nemico inaspettato e non convenzionale, organizzato in un vasto reticolo di cellule terroristiche che si rifanno alla più grande e influente di esse: Al-Qaeda.

Il particolare, di questa guerra è l’attentato terroristico, colpi brevi e mirati, il terrore non è il fine ma il mezzo per condurre un conflitto corsaro in grado di creare il maggior danno possibile a “ebrei e crociati”.

Le guerre richiedono grandi sforzi economici, difficili da sopportare a volte anche per le grandi potenze. Lo sapeva bene Osama Bin Laden, figlio di un miliardario saudita e radicalizzatosi durante gli studi universitari. Sapeva che la guerra santa è una guerra asimmetrica tra i poveri e i sedicenti ricchi: il costo di un attentato è relativamente basso ma per chi lo subisce ha dei costi altissimi, pone la creazione di uno stato di difesa militare che richiede ingenti spese fino a renderle insostenibili.

A questi si aggiungono i costi sociali da affrontare, la guerra è anche psicologica e crea all’interno delle nostre società paura, terrore, apatia sociale che non fanno altro che portare ad un forte indebolimento della vittima, fino al compimento della sottomissione degli “infedeli”, il vero obiettivo di questa strana e disumana guerra. Anche la goodcop, ovvero l’integrazione oltre ai limiti consentiti dal nostro assetto sociale fa parte di questo gioco: quando vi saranno zone dell’occidente con popolazione a maggioranza musulmana, ecco che verrà rivendicato il diritto di dominio dei territori “conquistati”.

 

La debolezza dell’Occidente:

Non pensiamo che i jihadisti siano dei poveri pazzi disperati che si fanno saltare in aria, dietro queste organizzazioni vi sono gli interessi dei Paesi musulmani più ricchi, su tutti quelli della Penisola araba, che utilizzano questa “guerra sporca” per depauperare l’Occidente e creando in esso non solo una dipendenza energetica ma anche economica e politica.

 

Questa guerra non convenzionale ha messo in risalto la scarsa collaborazione delle varie intelligence occidentali, sottolineando ancora una volta la debolezza del mostro UE nell’affrontare in maniera unita il nemico comune. Il Medio oriente non è più il cuscinetto creato dall’accordo Sykes-Picot, ma un grande anello che si spinge fino alla Penisola Araba e al Nord Africa, dove i jihadisti hanno creato una loro rete di collegamenti che rischia di mettere in serio pericolo il passaggio di Suez e i rifornimenti energetici petroliferi.

Le strategie ONU di Pace-Keeping sono state fallimentari e la superbia di poter imporre la democrazia nelle società arabe ha prodotto più danni che altro. La caduta di Stati come Libia, Siria e Afghanistan hanno creato più danni che altro e l’esplosione delle Primavere Arabe ha solamente alimentato il propagarsi della minaccia jihadista.

Occorre quindi una nuova strategia unitaria tra NATO, Russia, Cina e Israele che riesca a combattere alla radice il nemico fondamentalista e soprattutto la rete economica dei cartelli economico-petroliferi che lo sostengono, ridare stabilità a quei Paesi oggi in difficoltà (i cd. Stati falliti) in modo tale da creare delle zone di controllo e assicurare in esse pace e benessere, favorire il nascere di un’istruzione laica allontanando la popolazione dal pericolo della propaganda fondamentalista.

Matteo Grassi

 

 

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