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Geopolitica. American First: il “miracolo” di Donald Trump

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“Make America great again”, sembra ci stia riuscendo il Presidente Donald J. Trump, sono di pochi giorni fa le notizie positive sull’andamento dell’economia americana: i dati sul primo trimestre 2019 indicano una crescita del PIL tendenziale al 3.2%, con una netta crescita del settore automotive e del suo indotto.
La crescita economica è accompagnata anche dal calo della disoccupazione (vista in USA come una piaga ben più grave che nei Paesi europei, infatti oltreoceano livelli come quelli italiani vicini o superiori al 10% sarebbero catastrofici vista l’assenza di un welfare in grado di colmare i gap sociali) che si attesta attorno al 3.7%, ovvero sotto al famoso 4% che viene definito “fisiologico” in un sistema di libero mercato.

Il suolo “saudita” d’America

Oltre alla ripresa industriale e all’immensa produzione agricola, che consente agli Stati Uniti di esportare immani quantità di cereali, il sottosuolo è ricco, ricchissimo, di petrolio, gas naturali e minerali.
Trump si è sempre dichiarato scettico e disinteressato ai mutamenti climatici e a riguardo del surriscaldamento globale semplicemente per ragioni di realpolitik: ovvero incentivare e spingere l’economia anche e grazie alle risorse energetiche di questo immenso territorio. Alaska, Nebraska, Dakota, Idaho e Wyoming sono territori ricchi di petrolio che garantiscono agli USA la linfa vitale per mantenere viva la propria propulsione economica.
A questi va aggiunto il dazio sul petrolio iraniano che ha scatenato il rialzo dei prezzi del petrolio e anche questo dà confidenza ai mercati perché, un prezzo del petrolio a questi livelli, consente di continuare le attività di estrazione in America e, di conseguenza, un aumento dell’export di petrolio con conseguenti impatti favorevoli sia sulla bilancia dei pagamenti americana che sul deficit federale.

I negoziati con la Cina

Con l’incontro dello scorso gennaio sugli scambi commerciali con la Cina sembra che a breve si riesca ad arrivare ad un accordo dove Pechino s’impegnerebbe ad aumentare le importazioni dagli USA per un importo pari a svariate centinaia di miliardi di dollari nel giro di dieci anni. Se così fosse il tutto si tradurrebbe in un ulteriore spinta alla crescita dell’economia americana. Nel frattempo Trump ha deciso di rinviare sine die il previsto aumento dei dazi sull’import cinese.

Il momento favorevole dell’economia USA è il miglior biglietto elettorale del Presidente in vista della prossima campagna elettorale per le elezioni di novembre 2020. Se i dati macroeconomici dovessero continuare così, uniti alla crescita industriale e soprattutto alla bassa disoccupazione sarà veramente difficile smuovere il Tycoon dalla Casa Bianca.
L’unico dubbio in questo momento è se l’America di Trump sia il simbolo della ripresa della grande potenza americana oppure è solo l’ultimo colpo di reni dell’impero che sta volgendo, lentamente, al termine?

Matteo Grassi

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