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Fuoco

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“E dinanzi alla bocca dell’inferno”, scrive Pound nei Canti (XVI); dove lo scrivere si coniuga al presente perché un poeta scrivendo compone il tempo spazio dentro il rigo, è il già, lo iam dell’Apocalisse di Giovanni, già è il tempo, già è tutto il tempo e tutto lo spazio, lo iam, il già, l’attimo che si svela; già brucia a Parigi la convinzione. Già erano convinti, quegli antichi abitanti di una comunità che ancora non s’era costituita in cittadinanza, erano convinti che la cattedrale, la basilica il duomo la chiesa, fosse, o sia, il luogo in cui si svela il coincidente tempo e spazio. Lo iam. Ne erano così convinti che su quella convinzione, complessa, piegata dentro, erigono la sua immagine architettonica, il dipinto, il ciclo (il fumetto ante litteram) giottesco.

L’immagine, l’imitazione dove si dà, si manifesta, il compimento della pace. La quiete che agita anima e corpo in cammino. Il mondo dell’immagine è il loro, quello classico e medioevale, rinascimentale, non il nostro. Il nostro, l’attuale è il mondo super fluens, che scorre. Infatti qui, nel nostro hic et nunc, tutto scorre: foto, didascalie, volti; scorre tutto sotto il pollice che ruota, in un indefinito ciclo intorno il se stesso, il cursore. Tutto corre via e nulla si ferma, si incista, ed, incistandosi in-canta, si manifesta nella correlata immagine. Immagine che, fermata dallo scorrere, viene pertanto, edificata. Lo iam che sostiene l’igitur. La convinzione che si oppone, nella civiltà dell’immagine definita all’opinione, allo scorrere via fluente, al super fluens della nostra ora attuale, del nostro iam, pertanto al nostro superfluo. La Convinzione di costruire e l’opinione del superfluo. Questa la frattura. Ed in quel suo bruciare, nel suo mostrarsi ardere, dentro gli obiettivi di tutto il mondo che rimandano in ogni terra la bocca dell’inferno, si compie, nell’innocenza nuda del fuoco, quell’ “Io ti renderò luce delle nazioni”, Isaia, 49,1; Salmi 70; Giovanni 13,21 – 33; 36 – 38.

 

Emanuele Torreggiani

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