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Fermare la guerra russo-ucraina e difendere l’Italia: oggi convegno a Roma

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(Pubblicato su Barbadillo.it)
Lunedì 5 alle ore 16 a Roma al Centro congressi Cavour (Via Cavour, 50/a) sarà presentato il Manifesto “FERMARE LA GUERRA, SALVARE L’ITALIA” promosso da un folto gruppo di esponenti politici e culturali provenienti dal mondo della destra.
Parteciperanno alla presentazione anche il vice direttore de La Verità, Francesco Borgonovo, lo storico Franco Cardini, l’ex comandante della Folgore Generale Marco Bertolini, l’ex vice direttore del Tg1 Massimo Magliaro e il Consigliere nazionale dell’MCL (Movimento Cristiano Lavoratori) Giancarlo Moretti. Interverranno anche il filosofo Diego Fusaro e l’Ambasciatore Marco Carnelos


Il manifesto
I firmatari di questo manifesto sentono il dovere di lanciare un messaggio chiaro alla vigilia di queste elezioni politiche. La maggior parte di noi viene dal vasto mondo e dalla storia politica che, partendo da destra e andando oltre la destra, ha attraversato il Msi, Alleanza Nazionale, la fallimentare esperienza del Popolo delle Libertà e tante altre associazioni e movimenti che negli anni hanno rappresentato la destra diffusa. Eppure, proprio alla vigilia di elezioni che dovrebbero essere vincenti, non possiamo ritrovarci nel programma e nelle posizioni politiche che oggi caratterizzano in modo marcato il centrodestra italiano.

Non parliamo delle solite insufficienze e contraddizioni che sempre hanno segnato la sintesi programmatica di questo schieramento politico e che hanno in buona parte determinato delusioni sulle diverse esperienze di governo. No, questa volta siamo di fronte a una frattura che non può essere derubricata a parziale incomprensione: la guerra scoppiata con l’invasione russa in Ucraina rappresenta un punto di svolta che nessuno può ignorare. Qui non si tratta di prese di posizioni nobili ma astratte, o di distinguo ideologici lontani dalla realtà, qui si tratta di vita concreta e drammatica, di interessi vitali per il nostro popolo che nessuno può ignorare. Eppure tutta la politica italiana vive questo momento in modo sonnambolico, senza che nessuno voglia rendersi conto della drammatica deriva in cui sta precipitando l’Italia insieme a tutto il Mondo, addirittura verso una prospettiva da terza guerra mondiale, senza che nessuno faccia una riflessione seria e cerchi di proporre un piano realistico per uscire da questa situazione.

L’Ucraina viene lentamente e progressivamente incenerita, la NATO continua ad allargarsi verso Est, tensioni permangono in Kossovo, tutte le ferite del Medio Oriente continuano a sanguinare, mentre si fa sempre più acuta la crisi tra Usa e Cina per Taiwan. L’Occidente a guida americana continua a comportarsi come se fosse ancora l’unica superpotenza planetaria autorizzata a indicare i “buoni” e i “cattivi” nel resto del mondo, come è accaduto dalla caduta del muro di Berlino in poi, mentre oggi contro l’Occidente prendono le distanze l’80% delle nazioni nel Mondo (che hanno in buona parte condannato l’invasione russa, ma non hanno mai adottato le sanzioni contro Mosca) e si sta formando un blocco di forze poderoso che va dalla Russia alla Cina, con l’India e il resto dei BRICS, fino a buona parte del mondo islamico

L’effetto più immediato è che l’economia italiana, nonostante il rimbalzo di crescita dopo l’emergenza Covid, sta andando a sbattere, insieme all’ondata inflazionistica, contro gli scogli della recessione e non trova nessuna reale solidarietà europea o atlantica. L’Italia rischia in autunno di andare in default e l’unico segnale di allarme ufficiale è stato l’ipocrita “avvistamento” di Mario Draghi di “nuvole all’orizzonte” per la nostra economia.

Che tutto questo sonnambulismo e questa superficiale indifferenza alberghi a sinistra non ci stupisce: sono almeno trent’anni che la sinistra italiana ha scelto di appiattirsi acriticamente sul “sogno europeo di Bruxelles” e sui progetti dei democratici americani da Clinton a Biden. Ma è sconcertante che lo stesso atteggiamento stia condizionando in modo determinante anche il centrodestra, quel centrodestra che nel 2011 è stato cacciato dal governo sotto le pressioni di Bruxelles e con la “benedizione” di Obama, e che da allora è sempre stato tenuto lontano dalla guida del governo.

Il centrodestra, che aveva tentato con Berlusconi di creare un ponte verso la Russia di Putin, che aveva osato contestare l’Euro con gli economisti candidati nelle liste della Lega, che ha elevato l’interesse nazionale a ineludibile punto di riferimento con Fratelli d’Italia, sembra completamente ammaliato da questa impostazione fuori dalla realtà e soprattutto contraria agli interessi del nostro popolo. Su questo come su altri temi decisivi sembra che non ci sia nessun reale cambiamento politico tra il Governo Draghi e il futuro Governo di centrodestra. Ci sarà più durezza sul tema dell’immigrazione e più chiarezza su importanti temi etici e identitari, ci sono molte promesse irrealistiche di riduzione delle tasse e di riforme istituzionali, come accade in tutte le campagne elettorali, ma non una parola viene spesa per marcare la discontinuità sulle scelte che segneranno realmente il futuro della nostra Nazione.
LA GUERRA IN UCRAINA: UNA POSIZIONE DI NEUTRALITA’ ATTIVA PER L’ITALIA
È vero che nei momenti di guerra non ci sono spazi per i distinguo e le posizioni ambigue, ma è altrettanto vero che i diktat politici del Governo Draghi hanno precipitato l’Italia in una posizione oltranzista in questa guerra, perfettamente in linea con le progettualità bellicose dell’Anglosfera, in particolare dell’Amministrazione Biden. Ci sono almeno due Paesi aderenti alla NATO, l’Ungheria di Orban e la Turchia di Erdogan, che hanno assunto posizioni di neutralità rispetto a questo conflitto, eppure non solo hanno rafforzato la propria influenza internazionale e la propria situazione economica, ma – nel caso della Turchia – sono stati determinanti per aprire ponti di dialogo e risolvere questioni cruciali come quella dell’esportazione del grano. Non solo: in molti momenti critici l’Italia di Draghi ha frenato e/o depotenziato gli smarcamenti politici e diplomatici di altri partner europei come la Germania e la Francia.

Abbiamo auspicato sanzioni sempre più severe, abbiamo inviato armi in Ucraina in quantità secretate ma sicuramente superiori a qualsiasi altro conflitto dopo la fine della seconda Guerra mondiale, non abbiamo mai preso una qualche realistica iniziativa per la pace, siamo stati in prima fila nel demonizzare la Russia di Putin. Eppure sono sempre più evidenti alcune questioni. Innanzitutto l’Ucraina non può vincere questa guerra ma solo prolungarla all’infinito con enormi costi umani al proprio interno ed effetti devastanti sull’economia europea, anche perché ogni tentativo di isolare la Russia sullo scenario internazionale è completamente fallito. Addirittura l’Economist, nel suo penultimo numero, è arrivato a chiedersi se le sanzioni verso la Russia stiano funzionando; e questa cruciale domanda il settimanale britannico l’ha posta ben 6 mesi dopo l’inizio del conflitto!

La Russia è sicuramente da condannare per l’invasione di un paese sovrano, ma questa aggressione non deriva da un’improvvisa follia imperialistica di Putin bensì da precisi motivi geo-politici (rendere più sicuro lo sbocco sul Mar Nero e contenere l’allargamento della NATO ad Est) e identitari (le Repubbliche del Donbass contese dal 2014 in una sanguinosa guerra civile). In questa guerra gli interessi dell’Europa si muovono dal punto di vista economico (e quindi anche politico) in senso opposto a quelli degli USA, con enormi danni per le nostre imprese e la loro competitività e, in ultima analisi, con ricadute positive a favore di USA e Cina.

Infine i rischi di un allargamento planetario del conflitto si fanno di mese in mese sempre più allarmanti: se le sanzioni contro la Russia hanno già provocato enormi danni alla nostra economia, quelle che Washington potrebbe presto sollecitare anche contro la Cina avranno conseguenze devastanti per tutta l’economia mondiale. Ci sono motivi sufficienti per concentrare i propri sforzi per fare dell’Italia non un Paese cobelligerante, ma una protagonista delle iniziative di pace, come per altro ci viene chiesto da Papa Francesco e da tutto il mondo cattolico.

Per essere credibili in questo ruolo bisogna muoversi, di concerto con gli altri grandi paesi europei, verso una posizione di neutralità attiva, tutt’altro che indifferente ai destini del popolo ucraino perché impegnata in prima persona a costruire un processo di pace. Interrompere ogni invio di armi (che spesso sono imposte a scapito della loro disponibilità per le nostre stesse Forze Armate), in cambio di un immediato cessate il fuoco, come primo necessario passo per avviare il dialogo e le trattative.

Smetterla – come ha fatto Orban – con le “auto-sanzioni” che hanno provocato molti più danni alla nostra economia di quelli fatti alle finanze di Putin. Una neutralità che con riferimento allo scontro in atto abbiamo definito attiva, appunto, perché giustificata dal fatto che ci troviamo in presenza di un conflitto tra due paesi europei che, al netto di torti e ragioni contingenti, continueranno a far parte del nostro futuro e di quello di coloro che ci seguiranno.

Ma tale termine non deve trarre in inganno: non si tratta, infatti, di abbracciare il pacifismo ideologico che ha portato l’Italia a ridurre da anni il proprio potenziale militare in ossequio all’illusione, ormai tramontata, che il futuro ci avrebbe solo riservato operazioni di pace, magari sotto la direzione di qualche potenza estera benevola che avrebbe colmato le nostre lacune. Al contrario, quello che sta accadendo in Ucraina – e quello che in precedenza è successo, contro i nostri interessi, in Libia – deve farci capire che esistono interessi nazionali di carattere vitale la cui difesa è demandata solo a noi stessi, con l’ovvia necessità di dotarci di strumenti idonei a questo fine.

Insomma, il nostro paese deve riconoscere i vantaggi e i notevoli rischi che gli derivano dalla sua posizione geografica assicurandosi la disponibilità di Forze Armate che per qualità, quantità e motivazione siano in grado di difendere il nostro popolo e la nostra terra. La ricorrente enfasi sulla necessità di dotarsi di una “Difesa europea”, che sta attecchendo anche nel centro destra, deve infine essere oggetto di una attenta e sospettosa riflessione. Infatti, la Difesa comune è conseguenza di una Politica estera che dovrebbe essere a sua volta comune e condivisa; ma la crisi dell’Ucraina e la solo apparente unanimità euroatlantica al suo riguardo non deve farci dimenticare la crisi libica, quando Paesi della nostra stessa alleanza innescarono un inestinguibile incendio sulle coste nord africane, del tutto incuranti delle conseguenze nei nostri confronti. Conseguenze che continuano ad interessarci a più di un decennio di distanza sotto forma di una immigrazione incontrollata e di ulteriori incertezze circa il nostro approvvigionamento energetico. 5 Ecco: noi ci aspettiamo che il futuro governo – eletto dal popolo italiano e non guidato da un tecnocrate cresciuto all’ombra delle banche d’affari americane – si impegni in questo senso, rompendo il muro della demonizzazione moralistica di questa guerra e contribuendo a portare tutta l’Europa verso un approccio realistico e diversificato da quello americano. Ben sapendo che all’indomani del probabile disastro delle midterm elections dell’8 novembre, l’amministrazione Biden potrebbe battere in ritirata come ha già fatto in Afghanistan e che se Donald Trump fosse rimasto Presidente degli USA questa tragica guerra sarebbe stata evitata.

Ci aspettiamo, soprattutto, che il nuovo Governo sia consapevole (e anche felice) di constatare che il mondo unipolare a guida americana è finito e che l’Italia e l’Europa si devono preparare a vivere e a crescere in un mondo multipolare in cui le sovranità nazionali tornano prepotentemente protagoniste, pur nel rispetto delle sovranità altrui. Sovranità che si ritiene quindi di dover confermare quale valore fondante anche per la società italiana e nel quale strumenti come le Forze Armate siano valorizzate e tutelate contro ogni tentazione di delegarne la fastidiosa gestione a “qualcun altro”.
PRENDERE ATTO DELLA CRISI IRREVERSIBILE DELL’UE
La guerra in Ucraina ha messo a nudo la crisi irreversibile delle istituzioni di Bruxelles. Se l’Amministrazione Biden ha almeno l’alibi di aver perseguito i propri interessi con questa guerra, la Commissione di Ursula von der Leyen ha dimostrato proprio in questa occasione tutto l’irrealismo politico e la distanza dagli interessi dei popoli dell’Unione Europea. Non solo la Commissione e il Consiglio UE sono stata ferrei nell’imporre le auto-sanzioni a tutte le nazioni del Continente con effetti economici devastanti, ma hanno fatto ben poco per alleviare queste difficoltà, ulteriormente aggravate dalla BCE con la decisione di aumentare i tassi d’interesse e di bloccare gli acquisti dei titoli di stato. Non solo: l’Unione Europea è anche responsabile dello spaventoso aumento del prezzo del gas nei paesi membri. Il prezzo del gas nei Paesi extra Ue è triplicato, da noi è invece 11 volte di quanto era nel 2020, perché i regolamenti europei ci impongono di allinearci con il prezzo che viene definito dal TTF (Title Transfer Facility, mercato di riferimento olandese per lo scambio del gas naturale), mercato asfittico preda della speculazione al rialzo. L’Italia dovrebbe dire subito: il prezzo del gas non lo basiamo sul TTF olandese, ma la sola prospettiva di aprire un duro contenzioso con l’Unione paralizza tutta la nostra politica. Soprattutto quello che il futuro Governo italiano dovrebbe sapere è che questi comportamenti non sono errori delle classi dirigenti del momento, né imposizioni arbitrarie dei paesi del Nord “virtuosi”, ma discendono direttamente dalla lettera dei 6 Trattati europei. L’Art.3 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) dice testualmente che l’Unione “Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, …”.

Sulla base di questo principio di competitività la UE ha sempre vietato l’adozione di vere politiche di solidarietà e di sviluppo comune tra i Paesi membri, rifiutando la creazione di un debito pubblico comune (i famosi eurobond) e dando mandato alla BCE di usare la leva monetaria solo per contenere l’inflazione e mai per promuovere la crescita e la piena occupazione. In questo modo l’Euro diventa un vincolo economico insopportabile per i paesi politicamente più deboli, creando vantaggi solo per la Germania e per i suoi stati satelliti. Eccezioni come il Quantitative Easing di Draghi sono state concepite solo in momenti estremi e non sono più ripetibili, aiuti come il Next Generation EU vengono sottoposti a condizionalità stringenti come quelle della Troika che ha affamato la Grecia, stesso discorso per lo “scudo anti spread” varato di recente dalla BCE. In sintesi l’Italia, sotto la spinta dell’inflazione e della recessione provocate dalle auto-sanzioni contro la Russia, rischia di trovarsi in default già nei prossimi mesi autunnali e il futuro Governo si sentirà costretto ad adottare nuove misure di austerità che massacreranno ancora di più le nostre imprese e i nostri lavoratori, mentre il PNRR è uno strumento già vecchio (e sbagliato in origine perché concentrato su tecnologie d’importazione come il digitale e le energie alternative) per aiutarci a fronteggiare questa situazione e non sarà possibile rinegoziarlo radicalmente. Il centrodestra, però, sembra aver smarrito per strada ogni discorso critico sull’Euro e rifugge inorridito da ogni prospettiva di fuoriuscita dalla moneta unica. Tutta la protesta contro le istituzioni di Bruxelles si riduce a qualche marginale critica sul “dirigismo europeo che vuole misurare il diametro delle zucchine”.

In realtà l’unica speranza di salvare l’economia italiana è quella di aprire una grande trattativa, non all’interno dei trattati europei, ma per cambiare radicalmente i trattati stessi. Ma mettere in discussione i trattati fondamentali significa inevitabilmente mettere in discussione tutta l’Unione Europea e le regole costitutive dell’Eurozona.

Dobbiamo essere consapevoli che, contrariamente a quanto sostiene l’ossessiva narrativa mainstream, la vera minaccia alla nostre democrazie non è rappresentata dalle autocrazie russo-cinesi, ma dall’incapacità di offrire risposte concrete ed efficaci ai crescenti problemi lamentati dalle popolazioni, che dopo essere state stremate da un decennio di austerità e da una pandemia, ora sono alle prese in tutta Europa con le devastanti conseguente delle auto-sanzioni. 7 La guerra in Ucraina ha dimostrato la necessità di un’Europa solidale e libera dalla sudditanza nei confronti degli Stati Uniti, ma questa Europa non sarà quella tecnocratica di Bruxelles, sarà una confederazione di Nazioni sovrane che cooperano per affrontare insieme le grandi questioni geo-politiche del nostro tempo.

E la capacità e il coraggio di offrire una risposta alla guerra in Ucraina, autonoma e differenziata da quella degli Stati Uniti, potrebbe essere proprio l’occasione per far nascere una nuova e più autentica solidarietà tra gli stati europei.

Franco Cardini

L’INTERVENTO DELLO STATO E LA LIBERTÀ DELLE PICCOLE IMPRESE PER RICOSTRUIRE L’ECONOMIA ITALIANA
Il programma economico del centrodestra è ancora una volta concentrato sulla materia fiscale, come se bastasse abbassare le tasse, ridurre la burocrazia e i vincoli dello Stato per far rinascere la nostra economia. Tutto questo può sicuramente servire, ma non è sufficiente per innescare lo sviluppo e la piena occupazione. E soprattutto non è chiaro come e dove si dovrebbero trovare le risorse per finanziare questa drastica riduzione del carico fiscale. Sono problemi che hanno già fatto fallire i governi Berlusconi, creando una grande delusione per le promesse elettorali non mantenute (ed erano tempi molto più facili di quelli attuali). In realtà – come è evidente in ogni parte del mondo a cominciare dalle vicine Francia e Germania – la ricchezza di una nazione dipende innanzitutto dalla forza e dalla qualità delle proprie filiere produttive, che devono essere tutelate e sviluppate contro le logiche predatorie dell’economia globale.

Non si tratta solo di difendere genericamente il “made in Italy”, bisogna avere una politica industriale articolata in filiere, distretti e aree geografiche, una politica che in Italia non si fa più da decenni. Tutto questo può partire solo da un forte e non episodico intervento dello Stato nell’economia, tema non solo assente ma demonizzato come il ritorno di uno “statalismo che distorce il mercato”. Così mentre la Francia di Macron nazionalizza il colosso energetico di Edf, noi continuiamo a pensare di svendere Alitalia, Ilva e i nostri ultimi “gioielli di famiglia” di Eni, Enel, Leonardo e Fincantieri. Mentre al contrario questi, insieme a Ferrovie dello Stato, dovrebbero essere il fulcro di una nuova industrializzazione del nostro paese. Le privatizzazioni in Italia volute da D’Alema sono state un fallimento, la liquidazione dell’Iri voluta da Romano Prodi un’amputazione, la deregulation delle “lenzuolate” di Bersani la distruzione del piccolo commercio e del tessuto produttivo del ceto medio, così oggi tutte 8 quelle imprese – grandi e piccole – sono in mano straniera, quando non sono state già chiuse e delocalizzate. Uno Stato interventista in economia può essere il naturale alleato del tessuto delle piccole e medie imprese italiane, nonché dei pochi “campioni nazionali” ancora in mano al capitale privato italiano.

Lo Stato è l’ombrello che permette ai “piccoli produttori” di resistere all’assalto dei grandi gruppi multinazionali, le sue regole e tutele sono lo strumento con cui il ceto medio si difende dalla proletarizzazione e dal precariato. Inutile dire che tutto questo è contrario alle regole europee che vietano gli “aiuti di stato”, che impongono le “liberalizzazioni”, che pretendono di applicare la direttiva Bolkestein sulla concorrenza anche a balneari e ambulanti. Un discorso chiaro va fatto sulle Piccole e Medie Imprese che sono un pilastro fondamentale dell’economia italiana. Il liberismo sfrenato non aiuta le piccole imprese, anzi le uccide esponendole alla concorrenza sleale e al cannibalismo dei grandi gruppi multinazionali.

“Il liberismo ci ha trasportato nella globalizzazione con tutte le sue variabili impazzite, compreso il dominio della finanza. Libertà contro liberismo. (…) L’Italia ha questa caratteristica, il piccolo, unica nei cosiddetti paesi avanzati. Ed è la sua forza. Perché rappresenta nella sua infinita diversità una eccellenza, in qualunque settore a cominciare dal manifatturiero, fino all’accoglienza. Tutto ciò che riguarda questa libertà, va contro gli interessi del liberismo-globalismo, aggiungo unipolare.” Questo scrive un’associazione di base come “MIO Italia” – Movimento Imprese Ospitalità, ristoranti, alberghi, agriturismi e distributori HoReCa – sorta per difendere la “libertà d’intrapresa” nel periodo delle chiusure imposte con la pandemia. Distinguere la “libertà di intrapresa” dal liberismo è una condizione essenziale per dare una risposta alla crisi economica italiana, cancellando il luogo comune di uno Stato necessariamente nemico delle imprese.

Lo Stato è nemico quando produce burocrazia inutile e tasse insopportabili, ma al contrario è il necessario ombrello di protezione per difendere il “piccolo” dall’aggressione del “grande” e per aiutare le imprese a superare periodi di emergenza come quelli del Covid e della guerra, durante i quali la sinistra ha sempre attaccato le piccole imprese, ma nessun partito del centrodestra ha veramente alzato le barricate per difenderle, interpretando in modo reale la protesta che veniva dei territori. Lo Stato, infine, deve essere il motore – insieme agli Enti Locali – di un nuovo processo di sviluppo nel Mezzogiorno, che non si limiti agli investimenti infrastrutturali, che vada oltre il fallimentare utilizzo dei fondi strutturali europei, ma crei forti poli industriali collegati a centri di ricerca sul territorio e ad una nuova banca d’investimento per le regioni meridionali. Il turismo, le attività culturali, la tutela del patrimonio artistico ed ambientale, la valorizzazione di prodotti artigianali e di nicchia attualmente rappresentano al Sud gli unici settori in espansione occupazionale.

Una politica di attenzione fiscale (sgravi 9 contributivi, riduzione dell’IVA, detassazione degli investimenti) determinerebbe benefici non solo per questi settori ma diventerebbe un volano di sviluppo per tutto il Mezzogiorno. Ed è impressionante che tutto il centrodestra non abbia più nulla da proporre al Sud d’Italia, proprio nel momento in cui rilancia l’autonomia differenziata per le Regioni del Nord. Oltre al lato dell’offerta economica e produttiva, deve essere sostenuto anche il lato della domanda e dei consumi, difendendo il potere d’acquisto dei lavoratori, rilanciando piani occupazionali pubblici e privati, combattendo il precariato, trovando forme di tutela dalla povertà più serie ed efficienti del reddito di cittadinanza.

 

La vera distorsione del reddito di cittadinanza è determinata dalla incapacità dei Centri dell’Impiego a selezionare gli aventi diritto tra soggetti con possibilità di lavoro “normale” e soggetti “fragili”. Occorre trasformare questi ultimi in lavoratori socialmente utili, da utilizzare in progetti elaborati e gestiti dalle Pubbliche Amministrazioni e agli Enti del Terzo Settore. E se molti imprenditori denunziano la difficoltà di reperire percettori del reddito di cittadinanza disposti ad occupazioni lavorative, soprattutto a tempo determinato, la risposta deve essere quella di concedere direttamente un incentivo economico di tipo fiscale all’azienda che assume e di tipo retributivo al lavoratore assunto.

La “politica sociale” non è filantropia e carità buonista, è la consapevolezza che senza una domanda interna che cresce insieme ai redditi e alla base lavorativa non ci può essere sviluppo e benessere diffuso. In mancanza di una vera politica sociale non ha senso parlare di famiglia e di demografia, perché senza lavoro non precario e stipendi adeguati le famiglie non si formano e i figli non nascono. Stesso discorso va fatto per le pensioni e la spesa sociale e sanitaria.

Il prossimo anno, se non ci sarà un intervento legislativo, il sistema pensionistico italiano affronterà subito lo “scalone” della riforma Fornero (pensione di vecchiaia a 67 anni, pensione di anzianità con 42 anni e dieci mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne) diventando il più avaro di tutta Europa, a seguito del passaggio pieno dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo che – senza modifiche legislative – si tradurrà in pensioni da fame per gli assunti dopo il 1995. Dei tagli alla spesa sociale e sanitaria abbiamo visto gli effetti con l’emergenza Covid, pagando un prezzo altissimo allo smantellamento dell’assistenza socio-sanitaria sul territorio e al dominio delle multinazionali di Big Pharma sulle campagne vaccinali.

Tagliare gli sprechi va bene, tagliare i diritti sociali, i livelli di assistenza e il diritto al lavoro, significa violare i principi fondamentali della nostra Costituzione in nome dell’obbedienza ai Trattati europei. 10 Ma il centrodestra, nonostante non sia più dominato dal sogno della “rivoluzione liberale” di Berlusconi, nonostante tutti i segnali che arrivano dall’economia globale e dal ritorno della politica economica degli Stati, nonostante i danni provocati dallo smantellamento del welfare state, non ha il coraggio di liberarsi dalla logora ideologia liberista che vede la spesa pubblica come un male e il pareggio di bilancio come un’ossessione. La libertà di mercato resa assoluta diventa – soprattutto nel tempo della globalizzazione – un’arma del Potere contro le libertà sociali e personali, contro le identità dei popoli.

Durante l’emergenza Covid si è giunti a negare alle persone la libertà di movimento e di cura sul proprio corpo. E nel contempo in nome della retorica sulla “libertà di scelta” si impone agli individui e ai popoli di cancellare la propria identità e le proprie radici. Eppure non vediamo nel centrodestra una chiara consapevolezza di questi pericoli, una netta presa di posizione contro il neo-liberismo e l’ordo-liberismo che plasma le istituzioni europee e l’economia globale e che spiana la strada verso la cancel culture e le peggiori rivoluzioni liberal.
IL COVID NON DEVE PIÙ ESSERE L’ALIBI PER COLPIRE LA LIBERTÀ DEGLI ITALIANI
La gestione dell’epidemia Covid da parte del Governo italiano è stato un ulteriore esempio di asservimento alle logiche globaliste, fortemente condizionate dagli interessi economici delle multinazionali. Logiche che si sono dimostrate tanto arroganti quanto fallimentari, anche in considerazione dei numeri dei contagiati e soprattutto dei morti, che hanno visto l’Italia tra le nazioni più colpite nel Mondo. Da una parte il lungo e ripetuto lockdown, giustamente contestato da tante categorie di cittadini, dall’altra la scelta di investire unicamente sulla vaccinazione come arma per arginare il coronavirus, sono conseguenza della forza impositiva di Big Pharma, Pfizer in testa, che ha di fatto monopolizzato sia la ricerca che le indicazioni di intervento. In tutto questo tempo il Ministro Speranza ha imposto protocolli privi di base scientifica (tachipirina e vigile attesa, ad esempio) e ha colpito duramente i medici che tentavano approcci differenti (come l’utilizzo degli antinfiammatori, la cui utilità è stata confermata da recenti studi scientifici), ha terrorizzato gli italiani con una cronaca quotidiana di contagiati e morti, senza mai mettere mano realmente ad un rafforzamento dei presidi sanitari.

La gestione complessiva della pandemia si è dipanata più sulla linea di una vera e propria dittatura sanitaria espressione di scelte politiche, con un controllo compulsivo delle persone e una standardizzazione inefficace dei protocolli terapeutici, chiaramente 11 finalizzate ad imporre la vaccinazione, di fatto resa obbligatoria con il green pass, come l’unica strada di uscita dalla pandemia. In realtà la pandemia, fin dall’inizio, aveva drammaticamente dimostrato il pesante indebolimento del servizio sanitario nazionale, devastato da anni di tagli imposti in nome della spending review voluta dalle burocrazie europee. Carenza di posti letti nei territori, riduzione del numero degli operatori sanitari, indebolimento dei reparti di urgenza hanno fatto sì che davanti all’ondata pandemica il nostro sistema sia stato totalmente impreparato.

Se questa situazione è stata il frutto avvelenato delle scelte politiche degli anni precedenti, diventa assolutamente incomprensibile perché dopo la pandemia non si sia messo mano alle carenze che si erano evidenziate e – nonostante una persistente retorica del terrore basata sulla previsione di un susseguirsi di nuove calamità sanitarie – non siano seguiti in alcun modo interventi reali di potenziamento del settore. In due anni non sono aumentati i posti letto, né in rianimazione né nei reparti per le malattie infettive, non si sono assunti medici ed infermieri che potessero compensare le gravi carenze di organico, si è sotterrata la medicina territoriale sotto una caterva di inutili sovrapposizioni burocratiche, che invece di aiutare i medici di base, li ha “incatenati” in una palude di inutili compiti che ha tolto tempo ed energie alla cura dei malati.

E il modello che si sta studiando, su imposizione delle riforme volute dal PNRR, continua su questa strada. In Italia non c’è necessità di più burocrazia, c’è bisogno di un forte incremento di spesa pubblica nella sanità (non solo investimenti, ma spesa corrente per stipendi e consumi intermedi) per avere ospedali funzionanti, una vera medicina radicata nel territorio, con medici ed infermieri con contratti a tempo indeterminato, supportati dallo Stato per sconfiggere quella “medicina difensiva” che oggi è uno dei mali principali della nostra sanità. È necessario istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta per stabilire tutte le responsabilità sul mancato contrasto dell’epidemia, sia in fase preventiva che durante l’esplosione dell’emergenza.

Dobbiamo avere il coraggio di mettere sul banco degli imputati Big Pharma – il sistema delle grandi multinazionali del farmaco che hanno imposto i vaccini come unica cura obbligatoria contro il Covid – e i suoi complici in Italia, per sapere la verità sugli effetti avversi e sui danni provocati dai vaccini, sui clamorosi errori ministeriali sui piani pandemici e sui protocolli terapeutici. Inoltre è fondamentale tornare a dotarsi di un’azienda farmaceutica di Stato, non condizionata dalla logica del profitto, ma finalizzata unicamente alla difesa della salute delle persone, che possa svolgere una ricerca pubblica indipendente e coordinare una produzione di farmaci tali da non essere dipendenti dai diktat di Big Pharma.

Queste sono le vere condizioni per affrontare nuove emergenze sanitarie senza coercizioni per le persone e sudditanza agli interessi speculativi, come è accaduto fino ad oggi, e soprattutto per non rischiare di far affondare tutta la nostra vita economica e sociale sotto il peso di queste follie.
ALLA RICERCA DI UN NUOVO IMPEGNO POLITICO PER FERMARE LA GUERRA E SALVARE L’ITALIA
Tutto quello che abbiamo detto non ci porta certo ad equiparare il centrodestra con il centrosinistra, perché attorno al PD si è coagulata tutta la peggiore cultura politica ed economica favorevole alla globalizzazione, all’atlantismo e al vincolo esterno europeo. Ma la situazione dell’Italia è troppo critica per accontentarci solo del meno peggio, o per rischiare la continuazione della politica di Draghi senza Draghi. D’altra parte da molto tempo si ripete che il vero conflitto politico non è più tra destra e sinistra, ma tra “alto” e “basso”, tra élite cosmopolite e popolo. Nel “popolo” ci sono i ceti popolari e il ceto medio, i lavoratori e i veri imprenditori, i dipendenti pubblici e privati e gli autonomi del popolo delle partite IVA, i disoccupati, i pensionati e le famiglie con figli. Nelle élite ci sono i manager e i funzionari dei grandi gruppi economici e delle multinazionali, le oligarchie politiche e sociali, chi controlla la cultura e la comunicazione, chi detiene pacchetti finanziari e grandi commerci criminali. Tante volte la destra è riuscita a parlare al popolo, mentre la sinistra è sempre più dominata delle élite. Ma il centrodestra, per i suoi compromessi e la sua confusione ideologica, non è finora riuscito a legittimare e rendere efficaci le sue esperienze di governo.

Oggi la prospettiva rischia di essere quella di un Governo di centrodestra che prende il cerino acceso dalla mani di Draghi, per andare a sbattere in pochi mesi nelle sue contraddizioni, né ci sono spazi politici per alimentare un dibattito all’interno dei diversi partiti per cercare di correggere errori e diffondere consapevolezza. Questa funzione di critica costruttiva, di stimolo e di cambiamento effettivo può essere realizzata solo con un nuovo impegno politico sui temi veri ed essenziali, come la guerra, la nostra collocazione in Europa e il modo con cui possiamo evitare il default della nostra economia. Temi su cui possano confluire tutti gli italiani, provenienti da destra come da sinistra, consapevoli della necessità di liberare l’Italia da ogni sudditanza.

LANCIAMO QUESTO MANIFESTO PER RIUNIRE TUTTI COLORO CHE VOGLIONO METTERSI IN MOVIMENTO, SUPERANDO LA RASSEGNAZIONE E LE STERILI LAMENTAZIONI, PER FERMARE LA GUERRA E PER SALVARE L’ITALIA.

Roma, 5 settembre 2022 Comitato “Fermare la guerra”

Primi firmatari: Gianni Alemanno (già Sindaco di Roma), Marco Bertolini (Generale, già Comandante Brigata Paracadutisti “Folgore” Comando Operativo Interforze), Francesco Biava (Segretario nazionale Circoli “Area”), Francesco Borgonovo (vice direttore de “La Verità”), Franco Cardini (Storico, Presidente emerito dell’Associazione “Identità Europea”), Felice Costini (Presidente “Area Rieti”), Aldo Di Lello (scrittore), Bruno Esposito (Presidente Associazione “Iniziativa Meridionale”), Nino Galloni (economista), Giuseppe Lauria (Consigliere comunale Cuneo, Presidente nazionale Coordinamento amministratori locali no green pass), Massimo Magliaro (Direttore di “Nova Historica”), Marco Martinelli (vice Presidente Associazione “Altero Matteoli”), Giuseppe Marro (Segretario nazionale CisalFialp), Giancarlo Moretti (Consigliere nazionale MCL – Movimento Cristiano Lavoratori), Giulio Natali (già Consigliere regionale delle Marche), Ferdinando Parisella (Segretario nazionale Associazione “MIO Italia”), Mario Polia (Antropologo, professore emerito della Pontificia Università Gregoriana), Michele Rallo (Presidente Comitato Scientifico Centro Studi “Dino Grammatico”), Marina Simeone (Presidente Associazione “Generoso Simeone”), Augusto Sinagra ( Professore ordinario Facoltà di Scienze Politiche Università degli Studi di Roma “La Sapienza”), Marcello Taglialatela (Presidente Associazione “Campo Sud”), Gianfranco Gentetsu Tiberti (Presidente Associazione “Gorinkai APS”), Leo Valeriano (Cantautore), Marco Valle (Direttore “Destra.it”)

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