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Fare sport in un carcere: la storia di Giovanni, 45 anni, a San Vittore per rapina e la voglia di correre

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Correre in un carcere. E’ possibile e c’è chi lo fa quasi tutti i giorni. Non sarà come correre in mezzo alle campagne, ma è sempre meglio di niente. E da una sensazione di libertà unica. Lunedì eravamo nella casa circondariale di San Vittore a Milano dove si è tenuta la seconda giornata dello sport alla quale hanno partecipato circa trecento detenuti. Alcuni si sono affrontati in una corsa di circa 7 chilometri, altri in un torneo di calcetto, altri ancora nella pallavolo, nel bigliardino e negli scacchi. A premiare i vincitori, quasi tutti del V Raggio, oltre alla madrina Lina Sotis, c’erano gli ex fuoriclasse del calcio di Juve e Inter Antonio Cabrini e Mario Corso e l’assessore Roberta Guaineri. La manifestazione è stata promossa dalla direzione del carcere con Quartieri Tranquilli, Fondazione Decathlon, CPIA 5 Milano, Csi, Fiamme Azzurre.

Si trattava della conclusione del progetto Liberi di allenarsi promosso da Fondazione Decathlon che, con un contributo di 50 mila euro, ha finanziato la realizzazione di due campi da calcetto e uno di pallavolo nel carcere acquistando nuovi macchinari per le palestre che ci sono in ogni raggio. “Lo sport è un fattore di crescita importante per recuperare chi entra in un carcere – ha detto Cosimo Bolognino, per tanti anni arbitro internazionale di calcio e istruttore di educazione fisica nella casa circondariale di San Vittore – un modo per sfogarsi, per capire che ci sono delle regole da rispettare”. Ci sono una decina di educatrici ed educatori impegnati con i detenuti e tanti volontari. In un carcere che ospita circa mille persone in attesa di giudizio, il 10 per cento sono donne. La permanenza media è di alcuni mesi ed è per questo che vengono preparati programmi di breve periodo. Ma torniamo alla corsa. Erano alcune decine i partecipanti alla gara che si è disputata verso mezzogiorno, ad una temperatura molto alta. La chiamavano corsa campestre, anche se di campestre non aveva niente. Ha vinto Giovanni, un 45enne nativo di Gela e arrestato a Milano per rapina. Scambiamo qualche parola con Giovanni: “Da tanti anni ho la passione per la corsa – racconta – sono tre mesi che mi trovo a San Vittore e spero di poter tornare ad una vita normale al più presto. Ho sbagliato, so di avere sbagliato ed è giusto che paghi il mio debito. Il mio obiettivo è di tornare ad una vita vera. La corsa? Per me significa tanto. Non vedo l’ora di poter correre fuori da questo ambiente. Qui è difficile allenarsi, anche se cerco di farlo tutti i giorni. Gli spazi sono ristretti e non si può correre per molto”.

E poi c’è la sensazione di chiuso che toglie il piacere più bello della corsa, ovvero la libertà. Per la cronaca Giovanni ha corso circa 7 chilometri in 31 minuti, secondo in più, secondo in meno. Quindi ad un ritmo accettabile. Ci salutiamo con la promessa di incontrarci di nuovo ad una corsa, magari alla 21km della Stra Milano competitiva. Il torneo di calcetto era quello maggiormente sentito. Il calcio, a differenza della corsa, permette di poter convogliare la propria aggressività nel gesto atletico. Nella corsa serve la calma. Incontriamo un altro ragazzo che ha appena vinto tre a zero la partita di semifinale. Non è italiano. Il 70 per cento dei detenuti sono stranieri a San Vittore. Commenta:“Sono dentro per rapina commessa qua, a Milano. Sono sette mesi che sono a San Vittore. Può capitare di sbagliare. Non sbaglierà più, lo prometto”.

 

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