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Est Ticino: ‘vecchia’ Lega contro nuova Lega, scontro impari. Ecco perché

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EST TICINO – Dal 1992 ad oggi (diamine, sono passati quasi 30 anni), ossia l’arco di tempo in cui chi scrive segue la politica locale dell’est Ticino (da Magenta ad Abbiategrasso, da Castano a Malpensa), abbiamo perso il conto dei ‘dissidenti leghisti’ che sono usciti dal partito sbattendo la porta.

Chi se li ricorda i primi parlamentari, Tiziana Rogora e Luigi Negri? L’ex assessore e deputato di Magenta, Franca Valenti? Franco Castellazzi? Potremmo andare avanti sciorinando altre decine di nomi. Che fine hanno fatto, politicamente parlando? Nessuna, l’oblio o poco di più.

La stessa sorte che è toccata a partiti e gruppuscoli dei dissidenti (il partito dell’ex ministro Vito Gnutti, l’attuale Grande Nord di Bernardelli e dell’ex presidente del Consiglio Regionale Davide Boni), evaporati (nelle urne) con percentuali da prefisso.

Le ragioni sono molteplici e curiosamente toccano tutti, gli anti bossiani che furono espulsi da Umberto Bossi ed i fu bossiani che oggi recriminano la politica e i mutamenti della Lega di Matteo Salvini.

Come Abramo Bellani da Cuggiono, dirigente di peso nei primi anni Novanta (lo ricordiamo da cronisti ragazzini), che oggi si candida sindaco a Cuggiono contro tutti, Lega, centrodestra e centrosinistra. O come il Gianfranco Ronchi che, sempre da Cuggiono,  sbatte la porta del Carroccio (rieccoci) e scrive che  “alcune scelte del partito proprio non le comprendo, sia a livello locale che nazionale. Mi sono tesserato nel 2001 a Rho per poi trasferirmi a Cuggiono dove ho svolto deleghe nazionali e federali; sono stato assessore nel 2007 e consigliere comunale per tre mandati. Il simbolo è giusto che lo assegni il provinciale, ma la gestione di questi mesi non ci è piaciuta”.

Leitmotiv di tutte (o quasi) le lettere dei fuoriusciti. Ma la Lega, ultimo partito a trazione e conduzione leninista rimasto su piazza, non tollera dissenso interno, né ai tempi della Padania di Bossi né ora, con Salvini multato da Clemente Mastella fuori da un bar di Benevento (sembra un film di Franco e Ciccio).

Il personale e ceto politico della Lega di oggi, se proprio vogliamo dirlo, è decisamente ringiovanito rispetto a un tempo. Il salvinismo ha imposto un cambiamento anagrafico deciso, e i salviniani hanno fatto un po’ ovunque tabula rasa (si guardi in Regione Lombardia, dove nessuno parla più di salviniani e bossiani, ma dove i NON bossiani sono davvero pochi).

Alza la voce Gianni Fava, da mesi intento a lamentare che la Lega ha o avrebbe abbandonato la battaglia per il Nord, ma di fatto chi è uscito dal Carroccio si è ridotto alla testimonianza.

Nell’attuale gruppo dirigente nazionale forse mancano menti raffinate come Raimondo Fassa, lo stesso Bobo Maroni, l’abile Roberto Castelli, manca di certo un ideologo del peso di Gianfranco Miglio, ma non è un caso che due tra i leghisti più illustri ci siano (da 30 anni o quasi) ancora, allo stesso posto, anzi molto più rafforzati. Parliamo di Giancarlo Giorgetti e del doge Luca Zaia. Che da leghisti di vera ortodossia (di rito diverso, varesino e veneto, due modi di concepire la Lega molto distanti): se rimangono loro, che avrebbero la forza (elettorale Zaia, di relazione Giorgetrti) di uscire senza rimanere anonimi, c’è ben poca speranza per i leghisti o fu tali di Cuggiono e dintorni.

La Lega è un monolite, che Salvini ha ridipinto con una sagace operazione di marketing da social media (e da piazza). Le battaglie per il Nord, piaccia o non piaccia, oggi si fanno sotto il simbolo di Salvini.

Solo due, i distinguo che muoviamo. Interessante quanto accade in Veneto, dove Zaia vola quasi all’80% nei sondaggi e dove la sua lista pare possa prendere il doppio dei voti rispetto alla Lega (e intanto ritorna la Liga veneta..).

Coraggiosa anche la scelta di crescere e promuovere sul campo tanti giovani del fu Movimento Giovani Padani (che brutto nome, Lega Giovani..) che oggi sono autorevoli dirigenti (Cecchetti, Grimoldi, da noi i vari Grittini, Mazzeo, Zanzottera, Curzio Trezzani, Silvia Scurati, Sabina Doniselli, Linda Colombo), in molti casi amministratori capaci e autorevoli. Curioso peraltro notare come un partito fu ‘machista’ veda una presenza sempre più diffusa di giovani donne protagoniste.

Ma ci sono ancora delle zone d’ombra, nei Comuni e non solo. Rispetto ai leghisti ruspanti della prima ora, con poca dimestichezza con l’italiano, oggi sindaci e assessori con spilletta di Alberto da Giussano su giacca o altrove sono spesso determinati e politici latu sensu. Però ci sono anche esperienze negative (Vittuone, la stessa Cuggiono, dove è coraggiosa la scelta di riproporre il sindaco caduto pochi mesi fa), ossia un livello di gestione della cosa pubblica da alzare.

Ed anche in Regione Lombardia, dove nei corridoi della politica si rumoreggia sulle performance non proprio esaltanti di alcuni assessori del Carroccio (non parliamo di Rolfi, Foroni, Stefano Galli), specie rispetto ai tempi delle giunte Formigoni.

Al cui confronto, francamente, qualche assessore di oggi paga un forte dazio.

Ma al di là di questi distinguo (più da addetti ai lavori), la Lega di oggi E’ quella di Matteo Salvini. E dei salviniani. Punto. Dissidenti di vario conio se ne facciano una ragione.

Fabrizio Provera

 

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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