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Dall'archivio:

Emilio Didonè tuona: “Si, purtroppo siamo il paese delle caste, di quelli del “lei non sa chi sono io”, di quelli che saltano la fila, delle sanatorie e dei condoni! “

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MILANO – “Londra anni 70, un giovane italiano con i cappelli lunghi alla fermata del bus. Una fila indiana di persone sul marciapiede, a cui non si dà importanza, e si va a bordo marciapiede. Sta arrivando il tipico bus inglese a due piani, si sente toccare la schiena, e si volta. Un uomo, con la tipica flemma Inglese, dice “the chiu“, indicando la fila indiana di persone in attesa. Risposta con un timido “scuse me” e vado a mettermi in fondo alla fila. Ho saputo dopo che si scrive “queue” (che si pronuncia “chiù”), la fila insomma.

In queste settimane di campagna vaccinale mi è ritornato in mente quel lontano episodio della mia gioventù. L’Italia del “mi manda Picone” che salta la fila, non è solo un fenomeno di mal costume ma è anche la brutta
fotografia del paese nel mondo, perché rivela un modo di fare insito nella nostra società, in cui le persone hanno più diritti e contano di più in quanto amici di qualcuno o appartenenti a una categoria, a una associazione.
Giornali e social ci stanno raccontando che c’è di tutto nell’elenco dei vaccinati delle Regioni sotto i 60 anni: politici, magistrati, avvocati, cattedratici, sindacalisti, falsi volontari, cuochi, camerieri, studenti, ecc., con buona pace degli ignari over 80 che sono ancora in lista di attesa.
Siamo stati tra i primi a sottolineare il fenomeno, anche a seguito delle molte segnalazioni ricevute da Voi pensionati! Ma in questa vicenda ciò che è incredibile, è che tutto sembra quasi regolare. Siamo sempre di fronte ai soliti furbetti che a loro insaputa si sono adeguati ma dentro un sistema sviluppato di lobbies, di scambio di favori, di relazioni interpersonali, di amicizie, di relazioni di affari che si è radicato nel tempo. Una specie di macchina
burocratica che si muove come una vera e propria pubblica amministrazione parallela. Con il risultato che il diritto alle prestazioni della sanità, del certificato, del welfare non è più universalistico, non è più equo per tutti i
cittadini, indipendentemente dal lavoro che si fa e dalla posizione sociale che si ricopre.
Come si fa a dire di no a un giornalista o a un avvocato? Come si fa a alla moglie del collega o di un parente? Come si fa a dire di no al politico o al magistrato? Come si fa a dire di no all’amico di vecchia data? In Italia esiste
ormai una rete di relazioni sociali basate su rapporti personali, clientele, parentele, sudditanze che è difficile da estirpare.
In attesa di una riforma della pubblica amministrazione che dovrebbe renderla sana, equa e trasparente, è incredibile talvolta la facilità con cui qualcuno riesce ad ottenere un diritto rispetto ad altri nella stessa condizione,
che dovrebbe essere normale per tutti i cittadini. Siamo di fronte a una nuova forma di riconoscimento di “status sociale”, che indica quanto conta una persona nelle società, anche se di fronte al Covid è come tutti noi.

In Italia si è diventati così bravi in questo sistema di distribuzione di favori, che politica e poteri pubblici sono diventati pronti a favorirlo, con privilegi e sostegni alle singole lobbies e categorie invece di puntare
all’interesse generale e al bene comune del paese. E certe volte mi chiedo: perché continuare a insistere per cambiare le cose invece di rassegnarsi e magari godere dello status sociale protempore.
Ma il motivo di continuare a “rompere” lo trovo, eccome! Da questo gioco delle parti sono inevitabilmente esclusi i più poveri, i più fragili, i più deboli, quelli che nessuno conoscono e nessuno conosce. E sono esclusi anche i vecchi non più produttivi, non più lavoratori, non più dirigenti, non più in grado come prima di difendersi, di protestare, di farsi sentire. Sono quei cittadini anziani, persone semplici e normali, che sono finiti nella campagna vaccinale dopo figli e nipoti, anche se in questa pandemia i più colpiti ogni giorno sono proprio loro che la statistica li condanna a centinaia. Lungimirante papa Francesco quando parla di “cultura dello scarto”.

Stiamo diventando un paese di vecchi che non ha imparato a rispettare i vecchi. Un autentico paradosso! Ci si scorda che molti nonni sono, tra l’altro, un effettivo sostegno economico per figli e nipoti. Ci si scorda che il
benessere di oggi è frutto del lavoro, dei sacrifici e dell’importanza attribuita al risparmio da parte di queste vecchie generazioni. E solo per questo meriterebbero più rispetto in generale, ma soprattutto più attenzioni dal
sistema sanitario, sociale e anche nelle campagne vaccinali.

Noi sindacati pensionati abbiamo il compito, il dovere e la responsabilità di dare voce e dignità a questi vecchi che hanno costruito questo paese, nonostante le tante voci che li considerano un costo e li vogliono in silenzio.
Noi sindacati pensionati ci dobbiamo assumere questo impegno per cercare di costruire politiche dignitose che facilitino la vita a 360 gradi delle persone anziane. Lo dobbiamo fare senza se e senza ma, ricordando sempre che la generazione anziana spazzata via in questa tragedia pandemica era costituita anche da molti che hanno ricostruito questa Italia distrutta dalla guerra, che avevano combattuto per la nostra libertà, per la democrazia del nostro paese, e per il nostro futuro”.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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