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Elogio di Sant’Antonio e della salsiccia di fegato (di Camillo Langone)

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Sant’Antonio abate, oggi è il tuo giorno e quello del maiale, tuo celeberrimo attributo. Potrei inneggiare all’insieme dei salumi e invece no, farò una distinzione organolettico-morale: viva l’umile salsiccia, abbasso il superbo culatello. Quest’ultimo è un salume magro, sinonimo di secco, dalla stagionatura problematica perché non essendo protetto dal grasso tende a inaridirsi (meglio allora la culatta o culaccia, prodotto simile e però mantenuto morbido dalla cotenna). Il presuntuoso culatello è pieno di esigenze, costa molto comprarlo e costa pure tagliarlo: pretende un’affettatrice.

La facile salsiccia invece la puoi perfino morsicare, da tanto è cedevole, e la puoi gustare cruda oppure cotta, in padella o alla griglia. Insomma è pronta a tutto, generosa. “Una salsiccia dà euforia”, ha scritto Carlo Lucarelli. Sant’Antonio abate, nel tuo giorno voglio elogiare più di ogni altra la salsiccia di fegato: materia prima disprezzata e risultato eccelso (qui ci sento perfino una reminiscenza biblica, la pietra scartata che diventa angolare…). Me n’è arrivata una da Carunchio, montagna abruzzese, fatta con carne suina, fegato suino, peperone trito dolce e piccante, sale, pepe, finocchietto selvatico, buccia d’arancia: un’esperienza mistica.

Camillo Langone, Il Foglio (17 gennaio)

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