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Dall'archivio:

‘Don Alejandro Valverde, uomo senza tempo’. L’omaggio di Teo Parini al campione, oggi a Magenta

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Questa mattina, a Magenta, è partito in occasione della Milano Torino anche il campione del mondo in carica Alejandro Valverde. Riprendiamo perciò un estratto del bellissimo pezzo che Teo Parini gli ha dedicato poco tempo fa. E’ giornalismo, leggetelo. Le foto sono prese dalla pagina Facebook dell’amico Sergio Cattaneo

Per sempre sono solo diamanti e campioni. In senso lato, la stessa identica cosa. 
Alejandro Valverde Belmonte – trentottenne di Las Lumbreras de Monteagudo, Spagna sud-orientale – può vantare, con la genuina modestia che geneticamente lo contraddistingue, un’infinità di qualità umane e sportive tutte insieme, difficilmente ascrivibili a uno stesso professionista. Ciclista ovviamente, e più in generale uomo di sport a trecentosessanta gradi, tifosi e colleghi di lavoro giovani e meno giovani si rivolgono a lui, tra ammirazione e riverenza, con il titolo di  Embatido e non è certo difficile comprenderne la ragione: quando fissa il target vince (quasi) sempre lui. Schivo con garbo e poco incline all’autocelebrazione, c’è da scommettere che un’etichetta così gratificante – per chi ha speso con passione e abnegazione un cospicuo scampolo di vita inseguendo l’eccellenza – a distanza di anni ancora lo faccia arrossire, quasi fosse incredulo dinanzi a un simile credito planetario. Che, en passant, gli si cuce addosso come un abito da sartoria. Merito della semplicità d’animo di chi ha nella struttura qualcosa in più della concorrenza. Umiltà il mantra, il resto vien da sé.

E mentre il caleidoscopico mondo del pedale a ogni hurrà del murciano si interroga su quale posizione di merito all’interno di una virtuale hall of fame ciclistica potrà assumere un giorno, quello del ritiro, che si spera essere il più lontano possibile, Valverde, tanto per non sbagliare, continua imperterrito a mettere la ruota della sua bicicletta davanti a quella di tutti. In barba alle primavere che, non curanti del blasone, si accumulano alle sue spalle. Routine senza soluzione di continuità, e senza noia, che si ripete con cadenza annuale da almeno tre lustri. Una carriera, la sua, pressoché asintotica all’infinito e lunga ben 122 successi, incisiva al punto da attraversare senza colpo ferire tre generazioni di campioni o aspiranti tali e che esemplifica al meglio il dogma che fonde in simbiosi il talento sopraffino, il lavoro quotidiano e il successo. Di un predestinato. Per rendere l’idea della portata del personaggio, soprattutto per gli amanti dei numeri, la sala dei trofei di casa Valverde consta, tra l’altro, di quattro Liegi-Bastogne-Liegi, cinque Freccia Vallone(un record assoluto), due Classica di San Sebastian, una Vuelta di Spagna e sedici tappe complessive nei tre grandi giri dove, per non farsi mancare nulla, ha collezionato il podio finale in almeno un’occasione. Campione di una competenza ciclistica per certi versi unica e uomo spendibile per tutte le stagioni – Valverde è notoriamente competitivo dalle classiche di primavera alle foglie morte d’autunno, passando per la canicola estiva e i platani della Grande Boucle – a causa di una serie di situazioni poco favorevoli non poteva esibire, almeno fino a ora, quel titolo così ambito di campione del mondo inspiegabilmente sfiorato a più riprese. Una ludica maledizione.

Matteo Parini

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