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Di bronzo e di morte, su Trieste e Gabriele D’Annunzio- di Emanuele Torreggiani

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Sul carsico molo accompagna il fermo immagine, nel sempiterno rigore invernale del bianco e nero, di Dino Buzzati che guarda lungo le acque diacce tagliate dal vento di bora, e in qualche luogo, che lui solo scorge, egli si riconosce. Adduco alla ridotta della fortezza Bastiani dove s’intuisce, più che il vedere chiaro e distinto, un fumigante miraggio di tartari a cavallo. Tartari, popolo barbaro, ah, quei barbari che ancora sono e saranno, come furono, una soluzione. Dunque Trieste, ridotta degli Asburgo, k.u.k., imperiale e regia, assisa in un suolo che s’apre al complesso oriente del nostro profondo occidente. E questa città, pietrificata nel silenzio, sideralmente separata dalla ostelleria bordellatrice, “In una città atta agli eroi e ai suicidi” come scrive in un magnifico saggio Giampiero Mughini, (Bompiani 2001), tra le meglio pagine sulla città ed i suoi abitanti, vivi e sopravvivi, chessennefà, nel gergale ormai canonico, di un bronzo? Ma non solo la Trieste dove le ragazze dal passo svelto e dalle labbra rosa non cantano più lungo il selciato, non solo la Trieste ma l’intera peninsula, quest’Italia qui, ballatoio da cortile. Chessennefà? Un bronzo, che vedrebbe il D’Annunzio, ha messo in scena l’orrido baruffo deietante.

Scatolo da tastiera. Non è più significante il bronzo, si fondano i bronzi e se ne facciano schiaccianoci. Non conficca la superfluente realtà nella materia divina, sia bronzo che marmo. Va da sé che un autore edifica il proprio monumento con l’opera sua. L’atto suo sta dentro la pagina. Ogni scolpitura oggi s’aguglia d’aria. Più che meglio se fritta. Chi si sofferma più, per le vie, a scorrere una targa, a squadrare un busto? i piccioni e ivi depongono, alla chetichella, il proprio sterco. La natura è indifferente dell’ambiente. Tutt’al più un imbratto di vernice quando il frittume si fa fondo di paranza. “Le città terribili”, ma non la si legga in qualche manuale di media superiore alla voce D’Annunzio, né la si troverebbe. Non la si legga per nulla. La si rinvenga su YouTube, recitata dalla gran voce minerale di Roberto Herlitzka. E ci si ritroverà, in quell’ieri di scrittura ch’è già l’oggi e il posdomani. E pertanto lì, tutti a piccione sulla ringhiera. Quindi?, quindi i barbari sono la soluzione. E saluto, sulle note di congedo, Costantino Kavafis. Egiziano alessandrino, ellenista, ingegnere per pagnotta, poeta per dovere. I barbari sono la soluzione. Tartari del nostro deserto. Amen.

Emanuele Torreggiani

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