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Csm, Mattarella, Tatarella.. Riflessioni- amare- di una Nazione dove le manette non sono uguali per tutti

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Una delle più illuminanti ancorché amare riflessioni sul rapporto tra politica e giustizia in Italia l’abbiamo letta alcuni giorni fa su Linkiesta, a firma di Francesco Cancellato. La riproponiamo, perché va letta dalla prima all’ultima riga.

 

Voltare pagina. Finalmente Sergio Mattarella ha parlato dello scandalo Csm, di fronte al plenum stesso del Consiglio Superiore della Magistratura. E l’ha fatto ricordando chiedendo agli stessi giudici di far comprendere al Paese “che la Magistratura italiana, e il suo organo di governo autonomo, previsto dalla Costituzione, hanno al proprio interno gli anticorpi necessari e sono in grado di assicurare, nelle proprie scelte, rigore e piena linearità”. In altre parole, di avviare un percorso di autoriforma necessario a ridare autorevolezza e dignità all’organo di autogoverno dei magistrati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bene, bravo, bis. Però pensateci un attimo: e se uno scandalo simile avesse colpito il Parlamento, o il governo? Se si fosse scoperto qualcosa di analogo – usiamo sempre le parole del Presidente – a un “quadro sconcertante e inaccettabile”, un “coacervo di manovre nascoste” per governare la magistratura secondo logiche spartorie, posizionando i giudici amici nelle procure giuste per azzoppare le indagini, o per condizionare la politica nelle sue scelte, ecco: vi sarebbe bastata l’auto-riforma? Avreste accettato il “colpo di spugna” della “soluzione politica” al problema? Un bel “si volta pagina”, tutti a casa e non rompeteci più le scatole?

Se uno scandalo simile avesse colpito il Parlamento, o il governo, vi sarebbe bastata l’autoriforma?

No, non l’avreste accettato, e non l’avete accettato – tra il 1992 e il 1993 – proprio perché è stata la magistratura a mettersi di mezzo, a condizionare i tentativi di auto-riforma del potere legislativo, a premere affinché non si definisse la sistematicità del problema, a picchiare con insistenza sul tasto della responsabilità penale che non poteva essere cancellata da un colpo di spugna. Se questo è il 1992 della magistratura – il momento cioè in cui si disvela cosa succede dietro il sipario -, di sicuro non è il suo 1993, fatto di misure draconiane, di poteri che strabordano e, letteralmente, dettano legge, di processi sommari e carcerazioni preventive usate come ghigliottine per il popolo.

Perché a nessuno deve sfuggire che non un giudice, nemmeno Palamara, il protagonista di questa storia “sconcertante e inaccettabile” si è fatto un minuto di carcerazione preventiva, sebbene forse il pericolo di inquinamento delle prove possa sussistere più qui che altrove. E a nessuno deve sfuggire, per esempio, che Pietro Tatarella, consigliere regionale di Forza Italia con una bambina di due anni che lo aspetta a casa, è in regime di carcerazione preventiva dal 7 di maggio (oggi è il 22 di giugno) per una piccola storia di corruzione e consulenze. O che, per citare un altro caso scandaloso, il sindaco di Lodi Simone Uggetti abbia passato un mese tra San Vittore e gli arresti domiciliari per un bando truccato di una piscina pubblica nel quale non c’era ombra di arricchimento personale.
Ribadiamo il concetto: quello che per la politica è un colpo di spugna, per la magistratura è un necessario percorso di autoriforma. E il carcere preventivo, necessario per la politica, diventa improvvisamente non necessario quando a essere coinvolti sono i magistrati.

la magistratura si sta concedendo dei lussi che alla politica non ha concesso. Nel silenzio-assenso della politica

Per carità: non facciamo i garantisti a targhe alterne. Il giorno che in Italia non servirà più sbattere in galera la gente prima di qualsivoglia condanna sarà un grande giorno. E il giorno in cui a tutti i poteri, di fronte a una crisi sistemica, sarà concesso di auto-riformarsi, senza che un altro potere si arroghi il diritto di decapitarli e di etero-dirigerne l’agenda, sarà un giorno ancora più grande. Per ora, ci limitiamo a dire che la magistratura si sta concedendo dei lussi che alla politica non ha concesso. Nel silenzio-assenso della politica.
È abbastanza, per capire chi comanda in Italia?

Francesco Cancellato (da www.linkiesta.it)

 

 

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