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Cosa significa essere felici? Di Fabrizio Fratus

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Negli Stati Uniti d’America è nato un corso specifico per vivere bene, corso preso d’assalto dagli studenti, l’Università è quella di Yale, una delle più prestigiose al mondo. Tutto questo mentre OMS (organizzazione mondiale per la Sanità) prevede, con dati alla mano ineccepibili, che tra pochi anni la depressione sarà la seconda causa di disabilità nel mondo. La domanda quindi è legittima: ma nella società post-moderna perché viviamo male?
Il benessere occidentale perché non ci fa stare meglio?
Il nuovo corso universitario introduce il concetto di decrescita felice (https://iltalebano.com/2014/11/03/comunitarismo-e-individualismo/), e il tutto sembrerebbe un paradosso in un’epoca in cui lo sviluppo economico è visto come garanzia di sicurezza e progresso. Ma oggi il paradigma per molti studiosi sta cambiando, ecco infatti introdotto il BIL, cioè il benessere interno lordo, concetto per cui la ricchezza non si basa sull’aspetto di tipo economico.
Ma cosa significa vivere bene? L’ultima indagine presentata a marzo durante la giornata internazionale della felicità è emerso come l’idea di felicità sia un “equilibrio armonico tra ambiente, relazioni sociali e famigliari”; la felicità non è, quindi, autoreferenzialità.
La felicità si raggiunge dando senso a quanto si fa in un processo di sviluppo di progetti a breve come a lungo termine. Il progetto deve essere sviluppato in famiglia o in comunità dando forza alla realizzazione individuale come a quella delle persone che ci circondano. Quindi, da una parte la felicità eudaimonica (legata all’autorealizzazione in un contesto di comunità) e dall’altra la felicità edonica (felicità centrata sull’individuo)[1].
Il dato che emerge è sostanzialmente il seguente: coloro che sono inclusi in una comunità hanno maggiori possibilità di essere felici, al contrario gli esclusi sono coloro che vivono con maggiori tensioni emotive.
In questo tipo di ragionamento si può inquadrare anche la teoria dei sistemi sociali di N. Luhmann[2]. Il benessere nasce dalla socialità, dall’essere inclusi e questo perché si dà maggiore forza alla propria esistenza, al senso della vita; tra i maggiori esempi relativi alla migliore condizione di benessere si può fare riferimento a coloro che fanno volontariato, hanno sempre una qualità di vita migliore e il motivo è semplice: si sentono utili agli altri.
Nelle società post-moderne la credenza è sempre stata: il lavoro porta ricchezza che equivale al benessere quindi felicità, oggi sappiamo che non è così, anzi, la ricchezza può incidere ma non è causa di felicità. Questa nuova consapevolezza ci porta a comprendere il perché uno stato dell’Himalaia[3], il Bhutan[4], tra i più poveri in Asia ha un punteggio altissimo del FIL[5]. In effetti molti studi indicano che la differenza sulla felicità non è misurabile in relazione al reddito ma alle persone che stanno attorno, i paesi più felici sono quelli con una forte coesione sociale[6], in quanto si percepisce la possibilità di aiuto e solidarietà da parte delle altre persone, diminuendo quindi la disparità economica e facendola diventare meno importante.
Il concetto denaro uguale felicità sta tramontando, sempre più persone sono consapevoli che un reddito alto non equivale a maggiore felicità, l’appropriarsi di beni di lusso non rede felici ma aumenta la frustrazione e l’insoddisfazione per la propria vita, il sistema della moda ha necessità di sviluppare continui e nuovi bisogni, questo rende coloro che possono in parte acquistare i molteplici prodotti in difficoltà emotiva, come una droga, hanno sempre maggiore necessità di possedere l’ultimo capo o accessorio.
Al contrario, chi per motivi economici non è soggetto agli impulsi della moda per sentirsi integrato, ha maggiore possibilità di essere felice. Se l’appropriazione dei beni di consumo e di lusso poi, sono stati sino a qualche anno fa, il paradigma su cui si era convinti di raggiungere la felicità, oggi la percezione è fortemente cambiata; la felicità si raggiunge tramite i rapporti umani e la vita condivisa con il proprio ambiente.
Il movimento della decrescita felice[7] né è un sostanziale esempio, il concetto di guadagnare meno per essere più felici trova sempre maggiori adepti. Se il sistema economico capitalista ci impone una visione individualistica basata sull’acquisto dell’ultimo modello di suv o dello smartphone ecco che la decrescita felice sposta l’egoismo materialista in un egoismo umanista, cioè spingendo le persone a creare relazioni forti con altre persone in relazione alle loro capacità, interessi, conoscenze.
Ma facciamo un esempio concreto di come la società basata sul denaro e quello sulla decrescita felice competono generando quanto sopra descritto. Un viaggio può essere soddisfatto acquistando tutto in una agenzia e dando soddisfazione, grazie al denaro, a tante soluzioni di tipo infinito. Spesso però questo processo porta a vivere il viaggio come una ripetizione di quelli precedenti, il volo, il trasferimento in hotel/resort, i tempi sempre scanditi da attività e visite coordinate dall’organizzazione. Il viaggio diviene quindi ripetizione e crea, molto spesso, insoddisfazione.
Se invece prendiamo un viaggio basato sulla compartecipazione e la conoscenza eccoci a vivere esperienze inusuali, nuove e non ripetibili. Un viaggio con un auto condivisa da sconosciuti come lo scambio dell’ospitalità con altri viaggiatori crea relazioni e conoscenze inaspettate. Il passaggio da compiere è di coscienza: bisogna uscire dal dogma imposto dal sistema: l’illusione per cui la felicità deriva dalle merci che acquistiamo, quindi che bisogna avere sempre un reddito maggiore per potersi permettere nuovi oggetti.
Quale senso ha acquistare un nuovo smatrphone se nel giro di pochissimo tempo lo stesso sarà già “vecchio”? Il futuro è l’economia della condivisione, l’economia comunitarista, e questo avviene già tantissimo tra i giovani. Nelle grandi città abbiamo auto, biciclette, scooter, appartamenti, spesa e abbigliamento in condivisione, tra i ragazzi è normale non sentire il bisogno di essere proprietari di quanto si utilizza.
Il BIL (Benessere Interno Lordo)
E’ un termine nato per caso o quasi, un ingegnere esperto di organizzazione del lavoro mentre sviluppava il suo lavoro ha scoperto l’importanza della decrescita felice divenendone uno dei rappresentanti. Grazie al sole 24 ore, il concetto di BIl è divenuto poi popolare basando la teoria sul premio nobel J. Stigliz che in Francia spiegava come il benessere economico non fosse più l’indicatore di felicità per le persone. Il Bil non è uno strumento di misurazione ma una metodologia per vivere meglio, una società più condivisa dove la vita sia migliore.
NOTE
[1] Andrea Fianco, Psicoterapeuta e Presidente della Società italiana di psicologia positiva
[2] Niklas Luhmann, sociologo e filosofo tedesco, applicò alla società la teoria dei sistemi sociali ed ebbe grosso impatto anche nel campo della filosofia
[3] Sistema montuoso dell’Asia centrale
[4] Regno del Bhutan, la capitale è Thimphu
[5] FIL[5] (indice felicità lorda
[6] In sociologia coesione sociale indica l’insieme dei comportamenti e dei legami di affinità e solidarietà tra individui o comunità.
[7] Il Movimento per la Decrescita Felice è un’associazione nazionale, di sensibilizzazione pubblica per favorire il ben-essere della cittadinanza, ciò che è a basso impatto ambientale, che non crea sfruttamento sugli esseri viventi e che permette un’equa distribuzione del denaro, come i lavori utili, tecnologie pulite per ridurre gli sprechi di risorse, piccole e medie aziende etiche, e tanto altro.
Fabrizio Fratus

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