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Clima e rincari costi di filiera: è allarme per l’industria del miele

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Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Terruzzi: a rischio disponibilità prodotto a scaffale
 

MILANO – “Le nostre aziende sono ormai 7- 8 mesi che stanno vendendo il miele a pari o nella maggioranza dei casi in totale perdita”.

A lanciare l’allarme è Raffaele Terruzzi, presidente del Gruppo miele e altri prodotti dell’alveare di Unione Italiana Food, che rappresenta i confezionatori e gli importatori di miele italiani.
Il comparto, dopo i mesi difficili della pandemia, è in ginocchio: la produzione italiana è in costante calo da ormai tre anni e a questo ora si aggiunge l’aumento vertiginoso dei costi di importazione via mare della materia prima: parliamo, nell’ultimo anno, di un +300% dei costi dell’energia e dei noli marittimi. Una situazione difficile per chi confeziona e importa questo prezioso alimento prodotto dalle api:

“Questo – avverte Terruzzi – potrebbe compromettere la disponibilità del miele sullo scaffale e privare il consumatore italiano sia del prodotto nazionale sia del prodotto di importazione”.

La produzione italiana negli ultimi tre anni ha fortemente risentito delle variazioni climatiche.

Bastano pochi dati per capire le dimensioni del problema: nel 2021, la produzione media di miele d`acacia è stata pari a 2,6 chili per alveare, contro una media degli ultimi 5 anni di quasi 20 chili per un mancato ricavo di 144 euro ad alveare. Le cose non vanno meglio per il miele di agrumi la cui produzione media quest’anno è stata di 3,75 chili ad alveare contro una produzione che mediamente, dal 2015 al 2020, è stata di 22,31 chili, per un mancato ricavo ad alveare di oltre 100 euro.

“L’industria italiana del miele è soggetta a due grossi problemi:
il primo problema è quello della materia prima prodotta in Italia dove per condizioni climatiche avverse il miele viene prodotto con grave difficoltà. A questo aggiungiamo anche una situazione che potremmo definire botanica che è andata via via degenerando perché sono sempre meno le piante nettarifere, soprattutto i foraggi nettariferi e quindi le api hanno difficoltà a recuperare il nettare. Nettare che viene poi anche penalizzato come dicevo prima dal clima”.

Quella del cambiamento climatico è una vera e propria piaga per tutta la filiera italiana del miele che costringe l’Italia, ora più che mai, a importare il prodotto dall’estero: normalmente le importazioni rappresentavano il 50%, ora chiaramente la quantità di prodotto estero è salita. Ma in parallelo sono schizzati anche i prezzi di energia e trasporto via mare: solo nell’ultimo anno i mieli provenienti da Argentina ed Est Europa sono cresciuti rispettivamente più del 50% e del 20%, un incremento dei costi che l’industria italiana dice di non riuscire più a sostenere.

“Le importazioni hanno un costo logistico perché sono Paesi abbastanza lontani, questi Paesi lontani subiscono oggi un drammatico costo di nolo mare e questo costo va a colpire e a penalizzare il costo del miele. Inoltre nei Paesi europei più vicini come la Romania, l’Ungheria, la Bulgaria, la Polonia torniamo al primo step perché anche lì subiscono la situazione climatica avversa”.

Le criticità, dunque, sono molteplici e arrivano dopo un anno e mezzo difficile per le aziende italiane proprio in un momento cruciale per le vendite come le stagioni autunnale e invernale, periodo di massimo consumo del miele da parte degli italiani.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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