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Chiude la Vincenziana: fine di un modello (sbagliato) di accoglienza

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MAGENTA – Benché il Sindaco Chiara Calati, non si sbottoni e, ancorché legittimamente, dalla sua posizione di Primo cittadino e garante della sicurezza e della salute pubblica attenda comunicazioni ufficiali e definitive dal Prefetto, va da sé che la nota stampa con la quale stamani la Cooperativa Intrecci comunica la chiusura della propria attività su Magenta, appare come la ‘prova provata’ che la Casa Vincenziana nelle prossime settimane chiuderà i battenti. Sul suo futuro – che costituisce comunque un’altra questione degna di attenzione  oltre che un enigma per la città – non c’è certezza.

Né qui ci interessa tornare sul rapporto non sempre facile, tra la stessa cooperativa, le amministrazioni comunali che si sono avvicendate dal 2012 in avanti, né sull’operato di Intrecci, che è stato in qualche modo rendicontato in questo comunicato di commiato. Ciò detto, vogliamo tornare ancora una volta su un passaggio della nota che, a nostro avviso – lo diciamo e lo scriviamo fin dall’inizio di questa vicenda – è la dimostrazione di come il modello di accoglienza portato avanti in questi anni, sia stato sbagliato.

Ebbene, numeri alla mano, nel CAS (Centro di Accoglienza Straordinario) di Magenta in quattro anni e mezzo di attività – i primi migranti arrivarono nell’estate del 2014 – a fronte di 100 posti letto a disposizione sono transitate circa 174 persone. 

Di queste, peraltro, sarebbe interessante anche capire, quante in tutto questo periodo abbiano ottenuto lo status di rifugiato, o comunque, abbiano ottenuto una forma di protezione internazionale.  E quante invece, sia stato accertato non possedere i requisiti per stare nel nostro Paese.

Ma al netto di questo elemento che pure manca, e che non ci pare secondario, resta il fatto che quello che doveva essere un luogo di transito per questi ragazzi, si è via via trasformato per molti di loro, in una sorta di sistemazione duratura. 

E’ quanto si attendevano loro? Un letto in una camerata e un po’ di cibo? Magari all’inizio può anche darsi. Ma successivamente no. Perché non è vera accoglienza tenere delle persone come dei “polli da batteria” stipati dentro una struttura di questo genere per così tanto tempo con il rischio di creare una specie di ghetto. 

E’ vero qualcuno ha preso una licenza media o ha seguito altri percorsi professionali, e una ventina di loro – un piccolo successo – sono riusciti ad avere un inserimento lavorativo.  Ma è possibile che c’è gente che dopo tutto questo tempo non sappiamo ancora bene se chiamare “regolare” o “irregolare”? 

Si badi bene. Non siamo qui alla ricerca di colpevoli, né di polemiche pretestuose. Resta, però, il fatto inconfutabile di un sistema senza regole e dove, per troppo tempo, la fase di emergenzialità – questo anche a detta di chi vi ha lavatoro dentro – è diventata la norma.  Il tema qui allora non è essere pro o contro l’accoglienza.

Ma semplicemente ribadire che la gestione in termini d’integrazione avrebbe potuto e dovuto essere ben diversa e ottenere risultati differenti, se solo ci fossero state delle regole più chiare e rigide  fin dall’inizio.

Questo nel rispetto di chi è arrivato in Italia, avendone il diritto,  ma anche della comunità magentina, che a parte la legittima dialettica politica, ha dimostrato grande maturità e senso di responsabilità in tutto questo lungo periodo.

F.V.

 

 

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