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Dall'archivio:

Cesare Battisti NON è un rivoluzionario- di Emanuele Torreggiani

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Non omettendo, per carattere e temperamento, ho molto peccato con parole e opere, e accade come accadrà. Sugli anni di piombo, vissuti in alcuni frangenti ancorché stolidamente pericolosi, per me ora con lo sguardo al passato, avrei, all’età nostra dei nati alla basculante metà del secolo scorso, plaudito ad uno Stato magnanimo e forte quindi capace di erigere una tomba, nel centro di Milano, un tumulo degno di Redipuglia, a quei giorni dilaniati. Questo fu, nella conta feroce di quegli anni, il dilaniarsi e null’altro.

Ma non è né sarà. Solo gli assassinati, disseminati per la penisola, memoria privata di antiche vedove e lontani orfani, sono, nel rito novembrino, oggetto di un fiore stantio o d’un lume opaco. Purtuttavia il clamore intorno un Cesare Battisti richiama. Lo scrivo all’indeterminato che nell’omonima non si oscuri il martire del Buon Consiglio appeso per il collo dal boia ridente. Il nostro, se n’è ito in Brasile, come si sa. Provavo pena per lui che intendevo, io m’immaginavo, costretto a recitare la parte di un copione archiviato. La pena che si annusa quando, in occasione di rimpatriate tra coscritti, si ripropongono gesti, frizzi e lazzi ormai desueti. Gli anni, per ciascuno di noi, non si possono imitare, li si vivono subendoli. Tutte le ore feriscono, come si dice, e l’ultima uccide. Rivedendolo in tivù, spalle curve, ammanettato, tra i corpi palestrati di militari brasileri, altro non mi pare che un vecchietto in attesa della pensione alla posta. Lasciamolo, mi son detto. Lasciatelo nel suo incubo. Ma poi, alle prime dichiarazioni invocanti la legalità, egli si svela per quello che è.

Non un rivoluzionario, che ancorché sconfitto, affronta a schiena diritta i suoi carnefici ancorché vincitori, depone le armi e si chiude nel silenzio solido della coscienza. No. Con il linguaggio guitto trapassato di acronimi e leggiucole invoca la legalità. Quella stessa legalità di cui egli se ne fece sterco assassinando. Non merita che l’oblio. Mai fu il rivoluzionario che si credette e che fu ritenuto. Soltanto un manovale di un’anonima omicidi che ha imperversato, per due decenni, nel Bel Paese. Implora, da infimo e mostruoso sofista, la legalità. Che sarà mai la legge, una per l’altra, dinanzi la giustizia. Null’altro che un costume, un’ultima moda. La giustizia richiama la sovranità dell’eterno. Quell’eterno che raccolse il capo della matassa dalla coscienza dell’Innominato. No. Per quanto Un Cesare Battisti si danni, non conoscerà mai la notte. La sua profondità abissale. Gli appuntamenti che la notte impone. Un Cesare Battisti mai avrà mai rango da rivoluzionario, da grande assassino. Sta alla pari con un camorrista, un guappo, un canaro della Magliana. Un ommemmerda, per dirla al Giorno della civetta. Questo è quello che spetta. A mio avviso. E non ne scriverò, per quel che vale, mai più.

Emanuele Torreggiani

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