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Dall'archivio:

Cesare Angelini e Il Ticino: Elegia del ponte rotto-Parte Seconda

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“Congiungeva le due rive -come dire la città e la campagna- con un senso vivo di umana solidarietà. E i boschi vicini, rimbiondendo in primavera, gli mandavano vento di giovinezza. Giunta qui, l’acqua del fiume-nato in alto e lontano- rimormorava attonita: “Nel mio percorso non ho visto cosa più bella”; e si metteva a giocare fanciullescamente coi piloni, coi sette archi, che parevano un invito alla danza. Poi più a valle, si cancellava nel Po, ma consolata d’aver visto tale maraviglia. Da piazza Leonardo, da via luigi Porta lo guardavano le torri coetanee con compiacenza di sorelle superstiti; e il tiburio di San Michele e di San Teodoro ogni giorno allungavano il collo per meglio vedere e assicurarsi che era sempre lì.

Ed era sempre lì; un po’ vecchio, un po’ stanco, con quelle sue forme a dorso di mulo. Ma il mulo è sempre più tenace che stanco. E quella schiena curva che portava la dolcezza d’una chiesa fatta a barca, vinceva il peso e il passo dei secoli. In pace temevano che i suoi nemici fossero le piene che d’autunno aggredivano i piloni e invadevano gli archi ponendo quasi storcerli e ruinarli. Ma poi era niente.

Le onde sfogavano le forze radunate a Sesto Calende e qui,rompendosi contro il tagliamare, scoppiavano in una fragorosa orchestra di tuoni sommersi. Ma in guerra i suoi nemici furono i mostri precipitanti da cieli apocalittici; e ne hanno slogato le vertebre, sciancate le arcate, mutilato il canto.”

“Congiungeva le due rive -come dire la città e la campagna”, ecco la sua  funzionalità   sociale e di comunicazione, quindi  non solo balaustra di freschezza per i poveri in estate, non solo monumento simbolo da ammirare e ammirato, ma quell’unire  le due rive  quel andirivieni di persone, di  merci, di  mezzi di trasporto di vario genere. un tempo impedito o difficoltoso , ora diventa  possibile grazie a lui che agisce  “ un  senso vivo di umana solidarietà” tra due mondi diversi, fin qui separati, l’opulenza della città e la povertà della campagna. E  nel commento giunge in soccorso, grazie a quanto inviato da  un suo pronipote, il Dr. Fabio Maggi, Angelini stesso che  nel capitolo “Pavia sotto la neve” così scrive “Dal Ponte vecchio arrivano lenti i carretti insaccati in tendoni carichi di neve; scendono dai paesi di collina dove ne è caduta di più, e ne sono una memoria poetica. Ma fate che un gregge di pecore, sceso da Zavatarello, da Varzi, passi lento sul Ponte coperto; Pavia prende l’aria d’essere ancora nella favola, o appena uscita da una stampa del nostro Giovita Garavaglia o del suo maestro Fausto Anderloni, incisori d’alta statura, che nel grande Ottocento, come i poeti, sapevano ancora commuoversi davanti a queste scene cosmiche, a queste nevi cristiane, vantamento e ricchezza dei nostri siti settentrionali.” Poi ti par di sentire anche tu e di essere sfiorato come il ponte da quel vento di giovinezza che arriva dai boschi in quanto son queste  due righe di pura poesia! Acqua che nel suo lungo percorso, circa 200 km, prima di giungere a Pavia, il Ticino nasce nella lontana Svizzera, dalle due sorgenti dei passi di Novena e del Gottardo, ne bagnate di meraviglie con  il figlio suo il lago Maggiore ( Intra, Pallanza, le isole Borromee e altro )  ha da lontano visto  monumenti, torri, castelli, piazze,  abbazie delle lontane Stalvedro e Bellinzona o delle vicine Vigevano e Morimondo. ma…  “Nel mio percorso non ho visto cosa più bella”  acqua che poi  gioca “fanciullescamente coi piloni, coi sette archi, che parevano un invito alla danza” non è anche questa poesia? Acqua che infine muore, muore nel Po ma dolcemente e serenamente  dopo aver visto tanta “maraviglia” ! Bello quel animarsi, prender vita delle torri, delle chiese di Pavia che, come piene di timore, vogliono  tranquillizzarsi  e assicurarsi che sia sempre lì.

 

 

 

 

 

 

 

E l’Elegia diventa elegia: stupenda la similitudine con il mulo: po’ vecchio, un po’ stanco”. ma “sempre più tenace che stanco”, “quella schiena curva che portava la dolcezza d’una chiesa fatta a barca, vinceva il peso e il passo dei secoli.” Sì le sue battaglie vinte vittoriosamente nei secoli e in tempo di pace durante le piene d’autunno che ” aggredivano i piloni e invadevano gli archi ponendo quasi storcerli e ruinarli. Ma poi era niente. Le onde sfogavano le forze radunate a Sesto Calende e qui, rompendosi contro il tagliamare, scoppiavano in una fragorosa orchestra di tuoni sommersi.” Vittorioso nei secoli e  in tempo di pace poi, in un sol giorno e in soli  pochi minuti, in guerra, “ i suoi nemici… i mostri precipitanti da cieli apocalittici.. ne hanno slogato le vertebre, sciancate le arcate, mutilato il canto.”

Tutta la sofferenza di questo passo dell’Elegia è raccolta in questo  “mutilato canto.”

A cura di Giuseppe Gianpaolo Casarini 

 

 

 

 

 

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