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Cervello o cellulari? Proviamo la rivoluzione coraggiosa. Di Irene Bertoglio

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Ho scelto un titolo volutamente provocatorio per richiamare l’attenzione su un tema che reputo importante. I bambini e i ragazzi con difficoltà di scrittura, alla domanda su quale siano i loro giochi preferiti, mi rispondono sempre più spesso: “guardare video su youtube e giocare con il cellulare”. Sarà forse per il fatto che la mia infanzia è stata positivamente movimentata, ma non sarebbe un problema se questi giovanissimi sapessero poi anche affrontare i più basilari compiti di apprendimento, come leggere, scrivere e contare, e se non fossero spesso annoiati. Da un certo punto di vista è facile entusiasmarli perché sembra che molte attività e giochi non li abbiano mai visti. Le nuove generazioni (e non solo) sono a contatto per un tempo sempre maggiore con i moderni strumenti tecnologici, ma alcuni studi hanno rilevato che soprattutto i piccoli che utilizzano frequentemente tali strumenti evidenziano un ritardo nello sviluppo del linguaggio.

 

Afferma Ruth Milanaik, autore principale di questo studio: «Abbiamo osservato nella nostra clinica che il principale giocattolo  che i genitori danno ai figli è lo smartphone, che ormai ha sostituito libri e giochi tradizionali ma, come è facile intuire, la tecnologia non può sostituire il contatto diretto, che resta la miglior fonte di apprendimento». L’Associazione dei pediatri statunitensi e britannici ha sconsigliato alle famiglie l’utilizzo di dispositivi quali tablet, smartphone e TV fino ai due anni di età, e successivamente di concedere l’utilizzo fino ad un massimo di un’ora al giorno. Usare la tecnologia quando si è troppo piccoli non favorisce lo sviluppo cerebrale e penalizza la motricità fine. Sempre più insegnanti della Scuola dell’Infanzia e Primaria sono preoccupati per l’alto numero di bambini che sanno come far scorrere le dita su uno schermo, ma hanno scarse abilità manipolative con le costruzioni o non sono in grado di socializzare con gli altri, ma i cui genitori parlano con orgoglio di come sanno maneggiare il tablet. Il dottor Aric Sigman, psicologo associato della British Psychological Society e del Royal Society of Medicin, afferma come, a lungo andare, l’utilizzo delle tecnologie mobili possa davvero rappresentare un problema per la crescita cognitiva dei più piccoli, in quanto porta ad alterazioni nella capacità relazionale empatica, danneggiando così la comunicazione. La conclusione di questa ricerca è preoccupante: i bambini che trascorrono molto tempo dinnanzi al computer, invece di parlare e giocare con gli altri, sviluppano un individualismo che va a scapito della loro capacità di relazionarsi con le altre persone. Abituare i bambini già in tenera età a familiarizzare con gli strumenti tecnologici può comportare l’abitudine ad una presenza costante ed esagerata del cellulare. La giornata che inizia con la TV accesa pone da subito il bambino in una condizione di “estraneazione” dal mondo; invece, alla mattina, il bimbo ha il diritto di prendere contatto con la realtà. Davanti ad uno schermo i muscoli oculari si muovono poco, il corpo resta fisso e la mente si “arresta”; basta pensare allo sguardo vuoto di molti giovani di fronte al monitor.

Conseguenze negative del troppo tempo trascorso su giochi al computer sono le condizioni di eccitazione permanente dello stato nervoso: si verifica una sorta di saturazione del livello percettivo dell’individuo, in quanto nei giochi virtuali gli impulsi sono numerosi, intensi e molto stimolati nell’immediato. I ragazzi, che un tempo si riuscivano a divertirsi con giochi di diversa natura e con semplicità, sono ora sempre più annoiati, privati di carica vitale. L’individuo, di fronte ai giochi virtuali, deve adattarsi rapidamente a stimoli molto frequenti: è come se si andasse sempre a 300 km all’ora: la conseguenza è l’insonnia. Il dott. Federico Tonioni, responsabile del primo Centro Pediatrico Italiano che si occupa di dipendenza da internet presso il Policlinico Gemelli di Roma, ha affermato che tramite gli schermi interattivi si perde il rispecchiamento emotivo, che significa guardarsi negli occhi e pensare alla stessa cosa: «Un tempo eravamo abituarci a confrontarci con due grosse frustrazioni: la capacità di attendere e la capacità di stare soli. La prima è quella che ti permette di desiderare e di non essere compulsivo. La frase più classica che ti dicono i genitori è: “Quando è davanti al computer non si vede e non si sente”. Lo sai cosa vuol dire? “Quando sta davanti al computer riesco a non pensarlo”, ma i bambini hanno bisogno di essere pensati!». Ovviamente queste considerazioni non vogliono demonizzare la tecnologia né negare i vantaggi dello sviluppo tecnologico, ma cercare di capire quanto quest’ultimo possa contribuire all’aumento e allo sviluppo delle capacità umane. Il punto è proprio questo: incrementare e sviluppare, e  non sostituire o diminuire le capacità primarie del pensiero lineare. Se vogliamo restare umani dobbiamo cercare di mantenere attivo cervello e cuore, senza farceli rubare dalle macchine.

 

 

 

Irene Bertoglio è scrittrice, grafologa, rieducatrice della scrittura e perito grafico-giudiziario. Per anni ha gestito una struttura nell’ambito formativo ed educativo. Ha tenuto e tiene numerosi corsi di aggiornamento e innovativi progetti sperimentali nelle Scuole dell’Infanzia, Primaria e Secondaria, soprattutto di prevenzione della disgrafia e di orientamento scolastico e professionale. È autrice di diversi libri, tra cui, con lo psicoterapeuta Giuseppe Rescaldina: “Il corsivo encefalogramma dell’anima” (Ed. “La Memoria del Mondo”). È direttrice dell’Accademia di Scienze Psicografologiche con sede nel centro di Magenta, che organizza corsi e incontri di psicologia, grafologia, calligrafia e non solo (www.psicografologia.wordpress.com). L’autrice è contattabile all’indirizzo [email protected].

 

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