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Dall'archivio:

Cari ristoratori, volete finire come i negozi di dischi? Il ‘social dilemma’ di oggi spiegato dal Sean Parker dell’est Ticino, Eugenio Ceriani

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Dedichiamo a TUTTI i commercianti (ma ovviamente non solo..) il contributo di Eugenio Ceriani, uno dei maggiori talenti dell’est Ticino. Buona lettura.

 

MAGENTA (e Palo Alto….)  –  Ciò a cui abbiamo assistito nell’anno 2020 è stato un cambiamento radicale di abitudini da parte dei consumatori. Questo cambiamento è da taluni interpretato come parte di quegli adattamenti che si sono verificati in seguito alle restrizioni governative emanate per far fronte alla pandemia globale, destinate a sfumare ed involvere non appena la situazione dovesse dimostrarsi meno grave o addirittura risolta definitivamente. 

Nel mio modo di vedere le cose ritengo invece che la trasformazione del consumatore in “utente”, non più solo di reti sociali globali o come cliente di affermate multinazionali e-commerce, ma anche nella fruizione di servizi fisici a livello locale e micro-locale, sia in realtà frutto delle scelte di preferenza da parte dei consumatori stessi, che in un sistema digitale riconoscono benefici in termini di comodità, sicurezza, velocità, convenienza e qualità.

“Chele di granchio laccate allo zenzero ed Appletini? Per tutti?”

Con digitalizzazione forzata intendo infatti l’accelerazione, dovuta a fattori terzi, dell’inevitabile processo che in questa fase storica porterà a sovvertire di conseguenza gli ordini di priorità da parte di tutti gli attori nel sistema commerciale, sia a livello globale -dove la trasformazione è già in forte atto da più di un decennio- sia a livello locale, dove le potenzialità sono ancora aperte a tutti, in ogni settore, in ogni città, in ogni provincia.

Non la pandemia dunque, ma le necessità che le restrizioni hanno messo in evidenza, è quanto ha dato avvio a questa digitalizzazione forzata delle imprese. E se è vero che gli strumenti tecnologici attualmente disponibili ai consumatori hanno una potenzialità d’offerta che va molto oltre ciò che le imprese hanno finora saputo proporre agli utilizzatori, allora è qui che risiede probabilmente il problema tipicamente “locale” (leggasi provinciale) di mancanza di incontro tra l’aspettativa del pubblico, specialmente il più giovane e il più esigente, e l’offerta di locali, negozi, esercenti di ogni genere.

Pensiamo ora alle contromisure tipicamente attuate dagli operatori in alcune delle fasi storiche passate di crisi dei settori commerciali. Ragionando per assurdo si potrebbe dire che gli esercenti locali, se si fossero organizzati in qualche modo, diverso e creativo, all’epoca in cui i primi centri commerciali sono sorti, avrebbero evitato lo spostamento dei consumatori verso i grandi supermercati. Perché non è solo una questione di prezzi, anzi, nei casi più eclatanti non lo è quasi mai.

E allora cosa si vuole aspettare? Che tutti gli esercenti locali facciano la fine dei negozi di dischi?

Le condizioni cambiano come sono sempre cambiate e l’unica certezza che abbiamo è che continueranno a cambiare. Uno shock così forte, come quello appena accaduto, ha sottoposto all’attenzione di tutti le problematiche e le opportunità che solo alcuni -spesso con largo successo- avevano saputo prevedere già da prima, e cioè dall’avvento di quegli stessi strumenti digitali che hanno rivelato la loro concreta utilità durante il passato periodo di quarantena e tutte le varie successive fasi.

È grazie all’introduzione di queste nuove variabili che il valore aggiunto di un ristorante o di qualsiasi altra attività sarà sempre meno legato a determinati criteri a cui siamo abituati.

Un piccolo esempio: le recenti restrizioni e tutte le difficoltà conseguenti ci hanno mostrato come la valutazione che abbiamo sempre dato agli spazi fisici -quali negozi, sale, posizionamento degli stessi- siano in realtà sproporzionate da un punto di vista di economia delle risorse e di gestione dei costi, e del relativo ritorno sull’investimento, rispetto al loro effettivo valore commerciale e sopratutto rispetto alle soluzioni alternative che “questo tempo” in cui viviamo mette a disposizione di chi sa vederci attraverso. Di chi sa davvero creare impresa, e non solo perpetuarla.

La politica locale non si è certo rivelata in grado di convogliare adeguatamente le risorse e la comunicazione sugli aspetti davvero fondamentali che regoleranno l’evoluzione delle imprese nei prossimi anni.

La percezione stessa del cambiamento risulta mal interpretata, quando la narrazione che ne consegue vuole essere continuamente pessimistica e catastrofica. Sul piano politico così come su quello comunicativo. All’inizio del ‘900 i venditori di biada hanno genuinamente -e a ragion veduta- temuto che l’avvento delle automobili fosse una minaccia per il loro commercio di “carburante per cavalli”, e hanno sicuramente trasmesso questa loro visione a molte altre persone. Hanno cercato di condizionarne le valutazioni, hanno dipinto scenari apocalittici. Tutto ciò non ha però condizionato il fatto che universalmente le fasi sono fatte per succedersi, in modo inevitabile, e che il cambiamento è parte integrante dell’evoluzione umana. Circolare in macchina è risultato più comodo, più facile, più veloce e più conveniente. E se di evoluzione umana si parla, allora ecco che la filosofia può esserci utile all’interpretazione dei momenti storici, compreso quello delicato che stiamo vivendo. E che cos’è la politica, se non l’applicazione di “una certa” filosofia?

Non solo nella politica comunque, ma persino tra gli attori dello stesso tessuto commerciale, ancora troppo spesso, chi intraprende iniziative con un diverso approccio rischia di vedersi additato come una sorta di “market disruptor” a livello locale. O nei casi migliori semplicemente relegato a “visionario”, cosciente di una visione futura che non li riguarda, mentre del loro presente, spesso e volentieri, passano il tempo a lamentarsene. E per quanto sia lecito e comprensibile lasciarsi andare a lamentele “sui potenti che governano il mondo” o aggiungo io sui molto meno potenti che governano il quartiere, in questa occasione di crisi ci siamo resi conto più che mai che sono sempre due le tipologie di imprenditori che si lamentano: quelli che fanno qualcosa per cambiare, e quelli che non fanno nulla.

L’augurio è quello che, come in altre fasi di sovvertimento storico, gli strumenti creati da persone per essere messi a disposizione di altre persone, siano catalizzatori di uno sviluppo che rimane inevitabile, ma reso alla portata di tutti. Tutti coloro che riescono a vederlo.

Eugenio Ceriani

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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