― pubblicità ―

Dall'archivio:

Borsellino a Milano. Il ricordo di Emanuele Torreggiani nel giorno della strage di via D’Amelio

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Ho un ricordo preciso, nitido nei contorni e struggente nella prospettiva di Paolo Borsellino. Inizio anni Novanta, Circolo della Stampa. Alle sette di sera il salone centrale era una calca: giornalisti di fama, politici di mezza tacca con l’immancabile tessera in sacoccia (e quando mai avessero poi scritto un pezzo solo Dio lo sa, forse) e damazze che respiravano il brivido di vedere un uomo la cui vita era scortata ogni istante, poliziotti in borghese con la ferraglia che gonfiava loro completi a buon mercato, gli occhi mobilissimi infossati dal bisogno di gran sonno. Mi ranicchiai tra una colonna ed un uscio serrato. Poi un serrare le finestre spalancate, era un finale di maggio padano: afoso, mentre si udiva lo sciabordio in avvicinamento di sirene in corso, lo stridio di pneumatici e motori imballati. Entrò inscritto in un manipolo di uomini.

 

Le spalle un poco curve, la sigaretta accesa in permanenza effettiva. Parlò da siciliano colto, diceva le cose un poco meno della cose lasciando però intuire in modo preciso, concreto e definitivo il suo pensiero: “la mafia si reprime con la legalità”. Rispose così ad un giornalista che domandava gli sviluppi sulla “guerra alla mafia”, intendendo, con la sua risposta, che lo Stato non fa la guerra ma rappresenta la legalità e la mafia il crimine; e la legalità è la cultura dello Stato. Parlava monotono con uno spiccato accento palermitano. Aveva, per come guardava i volti in sala, la consuetudine con la morte. Quindi cura delle parole. Mille mani si spellavano tra le quali quelle dei politici di mezza tacca che l’avevano già tradito da mille anni e lo tradiranno, lui e tutti gli altri come lui, per altri mille anni. L’ammazzarono due anni dopo da quel pomeriggio milanese. Quaranta giorni dopo Giovanni Falcone, con tutti i soldati della scorta che per l’opinione pubblica sono militi ignoti. E siamo daccapo. E lo saremo ancora tra mille anni. Come l’applaudivano me lo ricordo bene, e c’era solo da stare in silenzio sotto il carico della vergogna.

E.T.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi