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Bià, in ricordo di don Gianni Tavecchia

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Il sacerdote si è spento sabato scorso all’età di 92 anni. Il ricordo di Alberto Negri

ABBIATEGRASSO – La storia di don Gianni Tavecchia può essere considerata, citando la canzone di De Andrè, “una storia senz’altro diversa per gente  normale ma anche una storia comune per gente  diversa”.

Non è – infatti – facile descrivere nelle poche righe di un articolo di giornale la figura di don Gianni  queste prete che si è spento sabato a 92 anni. Non è facile perché come sempre, quando un personaggio muore, le narrazioni  retoriche sulla sua santità, sulla sua bravura, sulla sua onestà,ecc. si sprecano. Tutti dopo la morte diventano bravi.

Ma questa volta voglio correre il rischio di apparire retorico e voglio raccontare don Gianni in prima persona.  Ma lo voglio raccontare  perché glielo devo, perché è stato per me, e credo anche per molti altri, un maestro di vita, in un’epoca in cui i veri maestri  sono pochi. Ho avuto la fortuna di condividere con lui  un bel pezzo di strada della mia vita. E di questo ne sono orgoglioso e riconoscente.

Don Gianni era  arrivato ad Abbiategrasso, non come prete legato a una parrocchia, ma come “cane sciolto”, così mi piace definirlo, mai al  guinzaglio di nessuno, di nessuna autorità ecclesiale , di  nessuna parrocchia, di nessuna struttura o sovrastruttura. Si presentava semplicemente come un uomo, come un prete, ricco di umanità e di esperienza maturata anche come Cappellano a S. Vittore. Lui amava dire che aveva trovato  più umanità in tanti  carcerati che non  in quelli che frequentavano assiduamente le chiese e le sacrestie.  Aveva imparato di più dal carcere che non dal seminario. Arrivato a Bià, come prete di strada, dunque come un prete scomodo, aveva messo in piedi con gli amici del gruppo ARS, guidati da Pierfranca Guffanti che più di tutti è sempre rimasta vicina a don Gianni,  il servizio che si chiamava “Telefono Amico”. In un garage un gruppo di volontari ogni sera metteva  a disposizione il proprio tempo per ascoltare al telefono persone in difficoltà o semplicemente persone in solitudine. Perché don Gianni aveva capito che il problema della solitudine nella ricca e paciosa Bià  era  molto radicato.  Nel frattempo  la droga  cominciava a diffondersi presso i giovani anche nel mondo della provincia perbenista. E così con un gruppo di  giovani  volontari ha  creato il  gruppo Agape (termine che in greco vuol dire Amore verso il prossimo).  Per diverso tempo noi dell’Agape abbiamo aiutato tante famiglie, tanti genitori disperati che si accorgevano del figlio schiavo dell’eroina spesso quando ormai era troppo tardi.  In quegli anni abbiamo aiutato anche tanti ragazzi e ragazze a uscire dalla dipendenza della droga. Don Gianni veniva chiamato il prete dei drogati, come don Ciotti a Torino con il gruppo Abele che avevamo avuto l’occasione di incontrare o come don Picchi a Roma. Tutti preti impegnati in prima linea a combattere la droga, che dilagava verso la fine degli anni Settanta.  Tanti ne sono usciti, ma  tanti sono morti, magari su una panchina, per overdose o per dosi tagliate male dagli spacciatori. Ma don Gianni non si è mai arreso e penso che tanti gli devono la vita. Poi quando il problema della droga si è un po’ attenuato eccolo pronto ad affrontare la piaga  dell’alcolismo in collaborazione con gli Alcolisti Anonimi.

Ma accanto a questo don Gianni “di strada”, a questo prete del fare, che amava la giustizia e che vedeva il Vangelo come la  scelta di stare con gli ultimi, con gli emarginati, con i devianti, con quelli che la società cerca di allontanare,  perché danno fastidio, c’è sempre stato un don Gianni cercatore della verità. Era il don Gianni teologo che riceveva le persone a casa sua per parlare di Dio o semplicemente per aiutare chi aveva problemi personali o familiari.  Era il don Gianni che studiava i libri dei più grandi teologi  e preparava scrupolosamente l’omelia della domenica, sempre in chiese diverse. Era nomade anche nel dire messa.  Spesso la sua sede era la chiesetta un po’ nascosta delle suore di Betlem di corso S. Pietro. La sua omelia non era mai improvvisata, ma sempre ragionata, avvincente, piena di concretezza, di vita reale.  Gesù era un maestro di vita e il Vangelo aveva senso solo se aiutava le persone a vivere bene la propria vita quotidiana.  Spesso diceva: se Dio non esistesse ho preso una bella fregatura visto che per Lui ho rinunciato anche alla mia Noemi, una ragazza che da giovane mi piaceva.  Ma c’era anche   il don Gianni che amava la psicologia e che organizzava insieme allo psicologo di Magenta (anche lui un personaggio  controcorrente) Giuseppe Rescaldina cicli di conferenze, sempre apprezzate dal pubblico numeroso, presso l’ospedale C.Cantù sullo star bene, sul benessere spirituale ma anche su quello psicologico, perché psiche e anima dovevano procedere di pari passo nella ricerca della felicità.

Ecco per don Gianni essere felice voleva dire prima di tutto star bene con se stessi, amare se stessi, per poi poter amare in modo giusto gli altri. Chi non si ama, chi non vuol bene a se stesso non può aiutare o amare gli altri. Anche chi faceva volontariato con lui doveva essere preparato, consapevole e competente. Il volontariato non può essere semplicemente un’azione filantropica improvvisata, così come la carità – diceva spesso – è ben diversa dall’elemosina.  Tutti sono capaci di fare elemosina, invece  la carità ti chiede di cambiare vita.

Don Gianni non era il prete delle certezze preconfezionate, non aveva la verità in tasca. Solo i cretini non hanno dubbi. Sapeva che alla verità ci si poteva avvicinare, ma che solo un istante dopo la morte avremmo potuto   conoscerla davvero, qualunque essa sarebbe stata.

Spero, caro don Gianni, che tu finalmente  adesso abbia  conosciuto  quella Verità che hai inseguito per tutta la vita. E se davvero  Dio è Amore, come ripetevi ogni volta che qualcuno ti chiedeva che cos’è Dio, ebbene tu l’hai cercato  per tutta la tua vita terrena e sicuramente  più di tutti noi  meriti di essere in questo Amore.

 

 

Alberto Negri

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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