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‘Beatissime fogne’: 20 anni dopo, Pinuccio Tatarella, il Richelieu della Destra italiana- di Pietrangelo Buttafuoco

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Sono passati 20 anni dalla morte di Pinuccio Tatarella, ex vicepresidente del Consiglio e protagonista del passaggio dal Movimento Sociale ad Alleanza Nazionale. Lo facciamo rivivere con la prosa di Pietrangelo Buttafuoco.

Beatissime fogne.
Ecco l’insediamento di Pinuccio Tatarella al ministero delle Telecomunicazioni.
È la sede operativa dell’Eur ed è una sorta di prologo per Bestie, Uomini e Dei più che per una cronaca politica.
La folla assiepata davanti all’ingresso non si accorge di lui quando arriva.
Lui stesso che sa sempre come arrivare dappertutto non si capacita: cosa mai stiano aspettando, o cercando, tutti quelli che con la testa fanno prima di qua e poi di là – lui che azzecca ogni ‘mbroglio, qualunque stravaganza e ogni fantasia – proprio non lo può proprio immaginare.
Pure su e giù fanno, drizzando le orecchie come fossero antenne per captare lo stridio, il mugolio, l’affanno e comunque un lamento lontano, sotterraneo e infine flebile.
Guardano in alto e poi in basso e fanno largo agli uomini delle Unità Zoofile, insomma, ai poliziotti specializzati, armati di speciali pistole spara siringhe: “E ti pareva che non entrava al ministero una scimmia scappata dal Circo per il mio insediamento?”.
Pum, pum. L’ago cattura il culetto del quadrumane. Uno, due, tre secondi e la scimmietta – già tra le braccia di Pinuccio – dorme.
Beate le fogne, allora.
Ruggiva l’anno 1994 e c’era il primo Governo Berlusconi.
Osservate la scena: Pinuccio Tatarella, il primo post-fascista a palazzo Chigi, porta dolci a palazzo Taverna. E’ qui che Italo Bocchino, il suo allievo, ha trovato il suo nuovo domicilio.
Tatarella bussa e Bocchino arriva all’ingresso per aprire la porta e accogliere l’ospite nel fragore della conquistata rivincita sociale: indossando una giacca da camera tutta foderata di fiocchi & soddisfazioni.
Beate quelle fogne.
A Tatarella viene da ridere da non finirla più.
Lascia cadere i dolci per terra – erano zeppole arrivate da Bari – e si attacca al telefono.
Chiama Gianfranco Fini, il segretario del partito, e gli dice: “Altro che arrivare al Governo, è oggi che ho avuto tutto dalla vita, ho visto Italo in giacca da camera”.
Beate le fogne, altroché.
“L’ecole barisienne”, un laboratorio di fumisteria intelligente orchestrata da Beppe Vacca per Massimo D’Alema, è in gran voga. Roma – la città eterna – è in totale soggezione.
Vacca che è il Socrate di una scuola veramente passeggiatrice dice: “Gli uomini che hanno potere dovrebbero scendere dalle auto blindate e iniziare a passeggiare”.
È l’arte di perdere tempo per guadagnare tempo, questa scienza tutta barese.
E Pinuccio se la prende per propria scienza.
Se ne sta per strada con i suoi, con gli altri e con tutti gli ancora.
Con Carmelo Bene che se lo porta nelle stanze di Palazzo Chigi – mentre dal portone centrale Berlusconi schiera i Lancieri di Montebello, ma per Paolo Bonolis – e in via dell’Anima, sempre Pinuccio, non certo il Cavaliere, s’incanta a rimirarsi Gino de Dominicis.
Con Italo, con lui, a passeggiare per non cadere nella trappola della vita rovesciata: come quella dei politici i cui unici occhi sono quelli paranoici delle loro guardie del corpo.
Pinuccio indovina perché non fa altro che passeggiare durante la campagna elettorale e anche dopo.
Nichi Vendola, per conquistare questa la città di Bari fatta di superba plebe, prende il testimone di Pinuccio Tatarella.
E i veri eredi di Tatarella – scomparso ancora prima di vedere la propria creatura, la destra di governo, sfasciarsi – sono proprio il comunista Vendola e il post-Pd, Michele Emiliano, i due governatori delle Puglie doverosamente in sosta da Cenzino, il bar di piazza Mercantile, devotamente dediti alla partita a carte e alla rinuncia alla vita blindata perché la ragione sociale della prima qualità dei pugliesi è una e solo una: la politica.
La destra che non è mai scesa dalle sue auto blindate, non sa fare comizi come un tempo, a Bari, in piazza S. Ferdinando, Pinuccio:
“Gianfrango” – recita in cerignolese al microfono Tatarella presentando Fini ai baresi – “non sei tu che parli a questa piazza, è questa piazza che parla a te”.
In nessun altro posto come a Bari vale l’equazione tra piazza e politica – non c’è posto che eguagli Bari nella lettura dei giornali, nella discussione, nel ragionamento, nella produzione intellettuale locale, basti l’esempio di Laterza – ed è veramente un Mezzogiorno emancipato quello che ha dato all’Italia l’alta scuola dei Tatarella, dei Peppino Di Vittorio (il padre storico della Cgil), dei Rino Formica, dei Massimo D’Alema (e dei Luciano Violante).
Anche Moro è Bari, ma è un rapporto fugace con la città.

 

 

 

 

 

 

 

Quando vi torna per fare lezioni all’università la Gazzetta del Mezzogiorno ne dà notizia, tanto sono rare le apparizioni: “Ieri, il professore Aldo Moro, ha tenuto lezione”.
I notabilati dell’altro sud – in Campania, in Sicilia, in Calabria – devono faticare per ricavarsene almeno uno di statista tra tanti ascari, a Bari, invece, hanno la fabbrica dell’importanza.
Quando Tatarella saluta al telefono qualcuno dicendo “Ciao bello!”, è solo per Massimo D’Alema o per Luciano Violante quel saluto.
Col presidente dei Ds – si chiamava così l’ex Pci, oggi Pd – fanno delle lunghe passeggiate e sempre, l’uno dell’altro, dice:
“Sono in compagnia del secondo più importante politico d’Italia”.
Presi da soli, alla precisa domanda, “chi è il primo, il più importante?”, entrambi rispondono: “Sono io”.
D’Alema che si sente accerchiato dalla volgarità dei Matteo Renzi (e dei Cerchi Magici di questo e quello), a questa stessa domanda oggi risponde: “Era lui”.
Ed è veramente un Mezzogiorno emancipato quello che porta all’Italia l’alta scuola di Tatarella, una prospettiva sociale e culturale che attraversa le pagine di Giambattista Vico e fabbrica, con il vissuto popolare, la specificità di un laboratorio politico purtroppo concluso con lui.
La storia di Tatarella coincide con quella della destra in Italia.
Nel 1994, anno del primo governo Silvio Berlusconi, per definire Roma non c’è altra definizione che “cloaca”.
La cloaca romana, infatti, inghiotte la neonata Seconda Repubblica (nel frattempo è sopraggiunta la Quarta).
Pinuccio Tatarella vice-presidente del Consiglio si vede respingere per ben tre volte una lettera da un dirigente del Ministero delle Telecomunicazioni.
Racconta l’accaduto a Berlusconi ma per chiuderla lì: “Qua non duriamo”.
Pum, pum. Uno, due, tre secondi e il Cavaliere – già tra le braccia di Pinuccio – dorme.

Da La Verità del 2 febbraio 2019
Estrato dal libro
Pinuccio Tatarella, passione e intelligenza al servizio dell’Italia. 
A cura della Fondazione Tatarella, Giubilei Regnani Editore

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