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Dall'archivio:

Aspettando il Governo, andiamo a conoscere le Camere del 2018

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In attesa degli esiti delle consultazioni e della formazione (chissà) del nuovo Governo, è interessante notare come sia cambiata la composizione del Parlamento post elezioni.  L’età media dei parlamentari si è abbassata di circa cinque anni a Montecitorio e di oltre due anni a Palazzo Madama rispetto all’ultima legislatura. Con un’età media di 44 anni alla Camera e di 52 al Senato, l’attuale Parlamento è il più giovane della storia repubblicana.

Le novità non finiscono qui: la componente dei neoeletti rappresenta il 65% dei parlamentari, evidenziando un tasso di cambio più alto della storia dalla II Legislatura. Dicono gli esperti che questo forte ricambio generazionale è dovuto all’effetto del successo elettorale del Movimento 5 Stelle e della Lega. Il partito di Matteo Salvini infatti ha la percentuale più alta di ricambio, pari all’87% dei deputati e all’83% dei senatori. Il rinnovamento investe anche la schiera pentastellata, che ha scelto di cambiare il 72% dei deputati e il 76% dei senatori. Il 65% dei parlamentari è neoeletto e non ha mai svolto un incarico politico di qualsiasi livello. Totalmente opposto è il caso della Lega: il 40% dei deputati e il 30% dei senatori proviene da un’esperienza locale. Un valore piuttosto alto se si considera che la media generale è del 12,9% alla Camera e del 10,8% al Senato.

Poco rinnovamento si riscontra in Forza Italia (che invece era stato un partito di grande cambiamento all’inizio della Seconda Repubblica) e nel Partito Democratico. I volti nuovi forzisti sono il 64 e 60% tra Camera e Senato, nel PD le percentuali sono molto più basse: 34 e 28% degli eletti. Un rinnovamento molto risicato quello dei Dem, che invece erano stati protagonisti insieme ai 5 Stelle, dell’ingresso nel Parlamento italiano di un plotone di giovani. Basti ricordare l’età media del Governo Letta, 53 anni vs i 64 del governo Monti, e poi il ciclone Renzi ha portato la media a 46. Nell’ultima legislatura infatti il Parlamento italiano è arrivato a livello dei Paesi nordici: Danimarca e Paesi Bassi sono a 44 e il Belgio a 46.

 

 

 

 

 

 

 

 

Se in questi anni la classe politica ha seguito la strada del cambiamento, non è stato così per il resto della classe dirigente: imprenditori, dirigenti di banche, professori universitari, grandi manager, magistrati. Un ricambio che il Paese richiede non solo dal punto di vista politico. È un fatto che lo scorso 4 marzo l’elettorato abbia voltato le spalle alle forze meno disposte al cambiamento ed a ripensare sé stesse.

Sarà questa nuova classe dirigente promotrice di un rinnovamento anche per il resto della società? «Ciò che dovrebbe avvenire è che il cambiamento nelle élites politiche provochi un contagio positivo anche nel resto della società. E questo finora è avvenuto molto poco: tra le élites imprenditoriali, culturali e professionali i segnali di ringiovanimento sono scarsi», così il sociologo Carlo Carboni, esperto di élite: «nella nostra politica quello che succede è che ogni 20-30 anni una generazione conquista il potere e ci rimane fino a che qualcuno non scrolla l’albero e non li fa cadere. Negli anni 90 è stata la magistratura, stavolta si è parlato di rottamazione. Ma il punto non è cambiare degli uomini con altri uomini, il problema è creare un meccanismo di ricambio, che è la vera garanzia di una democrazia».

 

 

 

 

Da qui si riparte: dall’auspicio che si possa assistere ad un rinnovamento delle regole del gioco in cui la meritocrazia non sia solo uno slogan e la cooptazione non più la regola e dai “nuovi” politici che saranno messi alla prova su come saranno in grado di cavalcare il cambiamento di tutta la società.

Mariarosa Cuciniello

(Dati camera.it e pagellapolitica.it)

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