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‘Ama le foibe, odia i fasci’. A Magenta parole di vergogna

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MAGENTA – Ama le foibe, odia i fasci. A distanza di 48 ore, per fortuna, le parole che avete appena letto non si trovano più su Facebook, a partire dal profilo personale di chi ha ritenuto di esprimere così (..) la sua opinione sul Giorno del Ricordo.

Non importa sapere chi è l’autore di parole cotanto violente da sembrare irreali: non ci interessa fomentare una reazione, anche perché l’unica attenuante dell’estensore è la giovane età.

E i giovani, come soleva dire Benedetto Croce, possono soltanto crescere (e migliorare).

Anche un politico di centrosinistra eppure lontano mille miglia da certi eccessi, Enzo Salvaggio, ha ritenuto giustamente di manifestare la sua lontananza siderale da quanto scritto.

Ma com’è possibile- ci chiediamo- che la lotta politica possa sfociare in parole così ferocemente inumane, sprovviste della benché minima forma di pietas umana? Perché l’umanità deve pre-esistere alla politica.

“Aveva 12 anni quando è stata costretta a lasciare la sua città, Capodistria, per sfuggire alla violenza dei partigiani del maresciallo Tito. “Sono arrivati gli slavi, hanno incominciato a uccidere”, spiega Anita. “Lì era diventato pericoloso. Non abbiamo potuto fare altro che scappare. I militari hanno occupato la mia casa, mangiato il mio cavallo. Diverse volte sono stata imprigionata: o perché avevo un bel vestito, o perché andavo in giro a fare fotografie con la mia Vogtlander”. Anita oggi ha 83 anni, abita a Trieste e nel cuore porta i ricordi di tutta la sua infanzia”.

Dovrebbe leggere storie come questa, il ragazzo magentino di cui sopra. Dovrebbe parlare con la famiglia magentina di esuli dalmati che anche sabato era al Monumento realizzato dagli alpini nel parco di zona sud. Comprendere dalla loro viva voce cos’abbia significato questa pagina buia del secolo breve, il secolo dei totalitarismi.

Un brutto fine settimana, quello appena trascorso a Magenta. Sabato alcuni militanti della sinistra radicale hanno protestato contro il banchetto (regolarmente autorizzato) di Casa Pound. Poi quelle parole, allucinanti nella loro gelida violenza.

E allora dovremmo tutti pensare, riflettere, (ri)leggere, a partire da un gigante come Pierpaolo Pasolini, specie quello della domanda formulata ad Alberto Moravia. Era il 1973..

Oppure rileggere l’esodo dei giuliani di Arrigo Petacco- come suggerito da Giovanni Marradi- ed ancora meglio la storia tragica dei Balcani sommamente riassunta da Enzo Bettiza. Leggere, capire e studiare.

Ma soprattutto, NON odiare.

 

“Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso. Spingere le masse a combattere un nemico inesistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua e logora la società già moribonda”.

Fabrizio Provera

 

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