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Alain De Benoist contro il liberalismo e la dittatura del profitto

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Tra i critici della società contemporanea, un ruolo di primo piano spetta ad Alain de Benoist. La sua analisi della società post-moderna non si serve esclusivamente di strumenti socio-politici ma, grazie all’approccio filosofico, coglie le radici del «male» contemporaneo che, di fatto, è il risultato della pervicace azione, svolta nel corso degli ultimi secoli, dal liberalismo. L’idea liberale dell’individuo quale prius rispetto ad ogni legame comunitario, rispetto all’«esser-già-là» di consuetudini e tradizioni, discende, per il pensatore francese, dalla visione del mondo cristiana, che rese ogni anima latrice di un rapporto esclusivo con il creatore. Pertanto, se il liberalismo svolge un’azione sovversiva nei confronti di rapporti sociali consolidati, ciò è dovuto all’essersi posto in sequela con la prima grande sovversione dell’ordine cosmico, quella cristiana. Lo si evince dall’ultimo significativo volume del filosofo, Critica del liberalismo. La società non è un mercato, edito da Arianna editrice (per ordini: 051/8554602, [email protected], pp. 287, euro 23,50). Il libro è arricchito dalla prefazione di Eduardo Zarelli.

 

    Dallo scritto di Zarelli si rileva che, quello di de Benoist, è un tentativo di descrizione morfologica del dominio liberale, oltre che individuazione di una via di uscita da esso. Il liberalismo che, nel mondo contemporaneo, ha imposto una società centrata sull’ideologia del progresso, dei diritti dell’uomo, della crescita indiscriminata, dell’assolutizzazione del valore mercantile e ha assoggettato: «l’immaginario simbolico all’assiomatica dell’interesse» (p. 9) è, fondamentalmente, un «errore antropologico». Nell’ottica liberale, infatti, l’individuo è stato posto al centro del mondo ed è divenuto criterio di valutazione universale. Tale ideologia, come sostenuto da J. C. Michéa, pur non riassumendo interamente il senso della modernità e della post-modernità, ne rappresenta, comunque, il momento più rilevante.  Criticare il moderno comporta la necessità di criticare, innanzitutto, il liberalismo, o meglio le diverse famiglie in cui questa ideologia (nel senso di falsa coscienza) si presenta sulla scena del mondo.

Critica al liberalismo di Alain de Benoist

Nel giusnaturalismo va colta la quint’essenza del liberalismo: l’individuo è esperito quale portatore di diritti inalienabili e quale fonte di legittimazione degli stessi. Per questo: «in una tale società, le modalità di affermazione comunitaria […] sono così facilmente percepite come patologiche» (p. 13). La sovranità dell’individuo si basa sulla proprietà che gli uomini hanno di sé stessi e, su tale asserto, si fonda l’inalienabile diritto alla proprietà. Ogni uomo è ciò che liberamente ha deciso di essere dal punto di vista economico, politico e perfino sessuale. In tale impostazione, l’uso lodevole o degradante della libertà, non viene tenuto in alcun conto in quanto, dall’orizzonte esistenziale, è stato espulso il riferimento al «bene», sostituito da quello al «giusto». La società politica è surrogata dalla società civile. Insomma, il liberalismo è: «l’ideologia che mette la libertà al servizio del solo individuo» (p. 15), per cui il legame sociale dipende solo dal sistema contrattuale garantito dallo Stato: la sua azione deve essere «neutra» sotto il profilo etico, poiché il dolce commercio realizza di per sé l’armonia tra i soggetti, e «minimo» il suo intervento dal punto di vista procedurale. In realtà, l’armonia sociale liberale è esempio di mero utopismo: «l’interazione degli egoismi stimola la rivalità mimetica e il desiderio di eliminare i concorrenti» (p. 17) e ciò induce l’aumento progressivo delle disuguaglianze e la diminuzione delle risorse. Suo correlato inevitabile è la devastazione ambientale.

   Nel mondo classico la natura legava e collegava tra loro gli uomini, nel mondo moderno la natura è invece intesa in termini divisivi in quanto, per il liberalismo, siamo «naturalmente» individui separati. La libertà, al contrario, è legata a condizioni primordiali ed è inserita nell’autonomia della physis: «La libertà […] è sempre concretamente situata» (p. 18), discende da rapporti sociali: ognuno di noi, in una prospettiva tradizionale, è un «erede» radicato entro la cultura di un dato popolo, il cui compito sta nel tradere, nella trasmissione ai futuri di quanto ricevuto. Invece: «da un punto di vista liberale, questi sentimenti, legati a un’appartenenza […] sono illusori» (p. 19). La tendenza universalizzante e globalizzante è consustanziale al liberalismo e ciò spiega il giudizio degli intellettuali di quest’area sull’immigrazione: «Un milione di extraeuropei […] è soltanto un milione di individui  che va ad aggiungersi ad altri milioni di individui» (p. 21), peraltro utili ad abbassare i salari dei lavoratori autoctoni. Tutto ciò accade in una situazione politica nella quale trionfa il disimpegno dei poteri pubblici in materia di norme e di costumi, che ha amplificato l’atomizzazione sociale.

   De Benoist recupera alla sua analisi le tesi della teoria del valore di Marx, per le quali non solo il liberalismo è il volto politico del capitalismo, ma quest’ultimo è un «fatto sociale totale», dotato di   potenza pervasiva da aver determinato, con il mercatismo, la colonizzazione, omologata in senso economico-utilitarsita, dell’immaginario contemporaneo. Conseguenza inevitabile è risultata essere l’insecuritas diffusa, il precariato economico, la guerra di tutti contro tutti. La logica di espansione della Forma-Capitale è stata, inoltre, ben descritta con il concetto di Gestell, Impianto, da Heidegger: «Percepito come un oggetto privo di significato intrinseco, il mondo è interpretato come […] sfruttabile» (p. 25). Il liberal-capitalismo ha nel proprio DNA il progressivo abbattimento dei limiti e delle frontiere (territoriali, spirituali). Pertanto posizioni liberal-conservatrici sono insostenibili. Non si può sperare di conservare alcunché, accettando i presupposti teorici del liberalismo. Tale posizione è articolata in modo organico da de Benoist nel capitolo dedicato alla critica di von Hayek, dal quale si evince anche la debolezza teorica delle tesi conservatrici di Scruton, legate alla difesa dello Stato nazionale, lo strumento politico creato dal liberalismo nei secoli scorsi.

    Al fine di lasciarsi alle spalle la società-mercato, il cui esito è il nichilismo, sarà imprescindibile: «Ridare priorità al comune, all’essere-in-relazione» (p. 39) e operare per la rinascita di un cittadino attivo, capace di re-simbolizzare la vita comunitaria. Se la rivoluzione industriale si affermò a partire dalle enclosures, si dovrà muovere dal munus, da una logica esistenziale e politica fondata sulla reciprocità e sul dono, su un agire non utilitaristico. Il discrimine sociale contemporaneo passa dalla dicotomia inclusi-esclusi, che in termini politici si traduce nell’opposizione di liberali e anti liberali, senza compromessi.

di Giovanni Sessa (da www.barbadillo.it)

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